giovedì 16 giugno 2016
Un tetto in un ostello e un pasto caldo. Benissimo, ma poi? L'assistenza è indispensabile per chi ha fame e freddo ora. Il rischio però è creare dipendenza dal bene. Mortificando, senza volerlo, la dignità stessa di persone adulte, capaci ma sfortunate. E allora la riconquista dell'autonomia passa per l'apprendimento di un lavoro. È l'idea alla base di «Abito qui - un progetto di mani e di cuore», la prima boutique solidale inventata dalla Caritas di Roma per il reinserimento lavorativo e sociale. Nei locali ristrutturati di via Monza 4, zona San Giovanni, vengono proposti al pubblico capi d'abbigliamento ricevuti in dono e "rimessi a modello" dagli ospiti delle strutture Caritas. Capi completamente rinnovati, venduti a prezzi simbolici, per finanziare il laboratorio di sartoria dove senza dimora e rifugiati seguono corsi di taglio, cucito, ricamo, maglieria, ma anche lavanderia e stireria. Gli insegnanti volontari sono sarte professioniste e rappresentanti di scuole di alta moda. Quindici ora gli apprendisti. Per i più meritevoli tirocinii professionali in aziende. I locali sono stati messi a disposizione dall'Ipab Asilo Savoia, fondato nel 1887 dal capo del governo Francesco Crispi per l'infanzia abbandonata. «Abito qui» offre anche un servizio di sartoria per riparazioni veloci e orli, a prezzi concorrenziali. «Solidarietà – ha detto il direttore della Caritas romana monsignor Enrico Feroci – significa mettere le persone in condizione di camminare con le proprie gambe. Vogliamo aiutarle a dire a loro stesse: io mangio grazie al lavoro delle mie mani. L'assistenzialismo può rovinare le persone, perché si finisce ad attendere sempre qualcosa».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI