venerdì 9 aprile 2010
Nel vecchio stadio Lenin di Mosca, "NapoleOne" Mourinho ha ritrovato la strada europea smarrita fin dai tempi di Cuper. Gli resta ancora quel tratto breve ma accidentato - durissima la tappa al Camp Nou di Leo Messi - che il suo grande predecessore e involontario maestro, Helenio Herrera, percorse quasi mezzo secolo fa portando in dono al generoso patron dell'Inter Angelo Moratti due preziose Coppe dalle grandi orecchie. Ho rivisto lo stadio di Mosca con nostalgia e il messaggino post-partita che Pietro Mennea ha inviato a Mourinho mi ha riportato ai bordi della pista che la Freccia del Sud divorò correndo come il vento, conquistando l'oro che gli permise di sbattere l'indice irriverente in faccia a qualche malfidato critico. Era l'Ottanta e in quell'Olimpiade senza americani, fatte salve certe imprese isolate come quella di Pietro, vincevano solo loro, i russi. E ogni giorno s'alzavano spesso nell'aria le note fascinose dell'Inno sovietico che per anni m'è rimasto in testa, sicchè lo canticchiavo ogni mattina, facendomi la barba, senza sapere quel che le voci del potente coro cosacco dicevano in un crescendo maestoso: «La Grande Russia ha saldato per sempre un'unione indivisibile di repubbliche libere! Viva l'unita e potente Unione Sovietica fondata dalla volontà dei popoli!». Come spesso ho scritto quando a qualcun viene voglia di boicottare i Giochi, l'Olimpiade di Mosca fu l'ultimo atto ufficiale di quel regime che presto si disfece proprio per aver osato offrirsi al mondo dello sport che gli inoculò dosi letali di libertà. È dunque, quello stadio, un grande monumento alla memoria di un evento storico che ho vissuto con passione. Su quegli spalti, l'altra sera, ho cercato Massimo Moratti. Ma non c'era. E alla fine non c'era neanche il suo sempre giovane sorriso che aveva esibito - diciannovenne - a fianco del padre al Prater di Vienna, il 27 maggio del '64, quando l'Inter aveva battuto il Real per 3 a 1 e l'anonimo Tagnin era riuscito a fermare l'ultima corsa madridista della "Saeta Rubia" Alfredo Di Stefano, per me il più grande calciatore della storia. Sicuramente non mancherà a San Siro, Massimo, quando il 20 aprile vi arriverà il Barcellona di Leo Messi e del francescano Pepp Guardiola, e tantomeno al Bernabeu, se l'Inter conquisterà poi la finalissima di Champions. Ma quel mancato passaggio a Mosca del presidente per assistere al successo dei nerazzurri - no so da che motivato - mi ha fatto pensare che Moratti fosse turbato dai veleni di questa sorta di Calciopoli minore scatenata da un Moggi comprensibilmente impegnato a vendicarsi del verdetto che lo ha allontanato dal suo amatissimo mondo. Non so come andrà a finire, se Abete vorrà rilanciare il Gioco delle Ombre che qualcuno vorrebbe carburante per nuove conquiste dello Shuttle Azzurro, come si disse paradossalmente quando prima Bearzot nel 1982 e Lippi nel 2006 vinsero i Mondiali dopo gli scandali. Mi stupisce soltanto, una volta di più, il disinteresse che la Juventus mostrò a suo tempo per tanto materiale informativo (si parla di più di centomila intercettazioni) che l'avrebbe forse aiutata a evitare le pesanti sanzioni. Ma per quel che riguarda Moratti, ho ascoltato "dal vivo" la sua telefonata con il designatore Bergamo e la sua voce m'è parsa come sempre serena, quasi distaccata, e le sue parole limpide, corrette, mica quell'accozzaglia di volgarità vomitate dalle intercettazioni di Calciopoli atto primo.
Non vorrà dir molto, ma a me basta per esprimergli solidarietà.
Salvo errori e omissioni.
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