domenica 19 marzo 2023
Nella galassia delle istituzioni europee, è il “pianeta” meno appariscente e il cui lavoro raramente approda alla ribalta pubblica. Eppure è di cruciale importanza per i cittadini dei Ventisette, desiderosi di sapere se i loro denari sono spesi bene. E’ la Corte dei Conti dell’Unione europea, il principale organismo di controllo finanziario esterno, con sede a Lussemburgo, previsto dal Trattato sul funzionamento Ue e formato da 27 “magistrati” - uno per ogni Stato membro – del tutto indipendenti sia dai governi nazionali che da quelli “centrali” di Bruxelles e Strasburgo. Come tutte le autorità del genere, anche quella situata nel Granducato gode di ampi poteri di indagine e di verifica, anche se non di sanzione diretta, perché non ha una funzione giudicante. La sua attività ordinaria consiste nel predisporre analisi, relazioni e pareri sull’uso delle risorse economiche - tutte, senza eccezioni - da parte delle altre istituzioni e anche dei singoli Paesi, quando gestiscono fondi Ue. Tuttavia, se nel corso dei suoi “audit” (i controlli) riscontra o sospetta irregolarità, la Corte segnala le magagne all’Ufficio antifrode (l’Olaf) e, in caso di fatti di rilievo penale, anche alla nuova Procura europea indipendente (l’Eppo), attivata due anni fa. Con il varo del grande programma di ripresa e resilienza post-Covid e dei piani di attuazione nazionali (i Pnrr), ai quali è riservata una dote di 724 miliardi di euro da spendere entro il 2026, i compiti della Corte sono notevolmente aumentati. Ad essa compete infatti una verifica parallela, ma diversa da quella della Commissione guidata da Ursula von der Leyen. Quest’ultima deve accertarsi che gli interventi finanziati dalla Ue siano in linea con i tempi e le opere autorizzati ogni sei mesi, vale a dire se i traguardi fissati d’intesa fra Bruxelles e le singole capitali sono stati raggiunti. Agli “auditor” di Lussemburgo invece spetterà un controllo più delicato e complesso. Non a caso, nei giorni scorsi la Corte ha lanciato una specie di preallarme, per mettere in guardia contro i rischi che si profilano. Con toni preoccupati, si avverte che i pagamenti dei progetti finanziati non sono soggetti al rispetto formale delle regole della Ue e degli stessi Paesi membri. Bruxelles infatti non esercita questo controllo e “ora come ora - denuncia il presidente della Corte, l’irlandese Tony Murphy – ci sono lacune nelle garanzie che la Commissione può fornire per il principale fondo dell’Ue a favore della ripresa post-pandemica, così come nell’obbligo di render conto del proprio operato”. In linguaggio felpato nella forma, ma severo nella sostanza, la Corte solleva interrogativi inquietanti. Visto che non si sa bene come verranno eseguiti i controlli nazionali, chi garantisce che i futuri rendiconti a livello europeo saranno affidabili? E dunque che i miliardi di euro saranno stati spesi bene? E se in futuro l’Esecutivo Ue scoprirà qualche illecito (frodi, corruzioni, conflitti d’interesse), in teoria potrà chiedere la restituzione dei soldi, ma non conoscendo come gli Stati controllano l’esecuzione dei progetti, siamo sicuri che riuscirà a dimostrare il danno compiuto? Infine, mancando indicazioni precise “su cosa fare se una misura finanziata ingrana la retromarcia”, è maggiore il rischio che “passi inosservato l’annullamento dei traguardi e degli obiettivi conseguiti”. Bruxelles è avvisata, dunque: dal numero 12 di
“rue Alcide De Gasperi” (l’indirizzo lussemburghese della Corte , quasi una garanzia “toponomastica” di rigore) non si faranno sconti. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI