sabato 23 febbraio 2019
Cari ragazzi delle mie valli: Valeria, Tommaso, Giorgia, Christian, Sara, Pietro... non conosco il vostro paese, ma lo posso immaginare aggrappato alle montagne del Trentino dove l'estate le file dell'uva dipingono i prati alti di bianco e nero. Leggendo con l'aiuto delle vostre insegnanti la storia delle Autonomie locali ed in particolare quella Autonomia speciale del nostro Trentino, avete scoperto il nome e in parte la storia di mio padre Alcide De Gasperi ed ora mi chiedete di saperne di più. La storia si costruisce certamente usando la memoria, ma è più certa quando è possibile consultare documenti. Allora per dare maggiore certezza ai miei ricordi trascrivo qui una lettera che mio padre scrisse al giornalista Mario Vinciguerra che aveva già pagato il suo antifascismo con una condanna a 15 anni e ora, nel tempo della libertà, proponeva a mio padre di aiutarlo con i suoi ricordi a raccontarne la vita. Questa fu la risposta che immagino possa essere utile per il vostro studio. Scriveva De Gasperi il 22 novembre 1950: «Circa la proposta: essa mi onora, ma mi mette in imbarazzo. Credi davvero che io, allo stato degli atti, sia degno di storia, cioè che a parte ogni valutazione della persona ch'io considero modesta, la mia biografia si presti ad essere occasione d'una sintesi di un qualche settore di storia politica? Ne dubito, per parlare onesto e franco. Certo che essa non può essere scritta senza rimarchevole contributo di ricordi ed esperienze personali. Sarei in grado di offrirtelo tale contributo? Ora fino a che sto nella mischia? Ho paura di mancare di parola. Il prossimo anno sono settanta. Chissà che non mi congedino? Allora sì che frugherei nelle carte vecchie, lettere e memorie per documentare la speranza tenace dei tempi malvagi e provare come un cattolico ortodosso e credente, attraverso l'illuminazione dell'esperienza altrui e quella propria, divenne politicamente umanista e ricettivo di ogni cosa buona e di ogni fede nella libertà e tolleranza civile. Come ti vorrei aiutare allora, proprio te, che hai tanto sofferto e tanto creduto a lumeggiare, questo cammino. È la parte meno nota e tuttavia la più schietta e più vera. Mi dicono abile e manovriero. Non è sempre un complimento. Preferirei vedessero in me un uomo di fede. L'abilità è al servizio della idea che mi conduce». Un esempio di umiltà, di seria coscienza del proprio lavoro, dove l'unica richiesta era l'essere riconosciuto uomo di fede. Su questa traccia si può comprendere e ricostruire la sua strada anche se il tempo sembra diverso e le situazioni politiche differenti. I princìpi non cambiano anche se portano altri colori e sono come sempre l'onestà, la fatica senza risparmio, la visione del bene comune. Nella vostra lettera mi chiedete quale fosse stato l'insegnamento più importante ricevuto da mio padre. Fu lo stesso che aveva lasciato agli uomini italiani ed europei: il coraggio delle proprie idee, la pazienza di ascoltare la voce altrui, sconfiggere la paura con la volontà e amare la vita, così come l'ha offerta il Signore, con tutte le difficoltà, ma con la volontà di portare agli altri luce e speranza.
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