sabato 26 giugno 2010
Una contrarietà, un dolore, una sofferenza. Ti dicono: «Non pensarci, cerca di distrarti, vedrai che il tempo ti aiuterà a dimenticare». Non è vero: il tempo ti insegna a guardare con maggiore equilibrio, con una prospettiva meno angosciante; esso prende su di sé i tuoi mali e ti aiuta ad allontanartene piano. Fa in modo che il tuo pensiero accetti un po' alla volta quella parte di pena che la vita ti ha consegnato e ti insegna a usarne a tuo vantaggio. Sembra questa una parola non accettabile quando si parla di dolore, ma è la realtà, fa parte di quelle inesplorate caverne dell'animo umano dove l'invenzione, la fantasia, l'emotività giocano per ognuno di noi una loro misteriosa storia. «Ma come fai a sorridere, a incontrare amici, a lavorare?», le dicevano le amiche. «Getto tutto dietro le spalle " rispondeva ", ma vi insegno un modo per allontanare qualsiasi sofferenza che io usavo ancora quando ero ragazzina e non volevo rinunciare alla mia partita di tennis quando avrei dovuto andare in fretta dal dentista. Dicevo allora a voce, prima sommessa e poi più alta: questo male non è mio, è di quello che adesso sta passando per la strada, è suo, non è mio, ora non lo sento più, non lo sento più. Ecco è passato e ora vado a giocare». Una specie di autosuggestione che dava i suoi frutti per qualche ora, salvo poi riprendere, in quel caso, più forte di prima. Gettare tutto dietro le spalle vuol dire fare pace con se stessi e poi con gli altri, se il dolore porta la veste di un castigo meritato. Allora aprire sempre le mani per dare senza guardare se c'è ancora qualcosa per se stessi. Era domenica e ognuno di noi tre aveva il suo peso sul cuore da portare con sé. Andiamo in campagna, vediamo come gli alberi sanno sopravvivere a tutti questi veleni che buttiamo loro addosso, forse ci insegneranno qualche cosa. La macchina, quasi conoscesse la strada, ci accompagnò ad esplorare piccoli e grandi paesi nei dintorni dalla nostra città. Boschi dove non si può entrare perché fitti di cespugli e di rami intrecciati, coprono un terreno accidentato di forre, di piccoli rivi d'acqua con il sapore di una terra inesplorata, dove le case più vecchie, spinte da una paura antica, si sono ritirate nella parte più alta. Delle voci forti partivano da una trattoria che aveva la finestra aperta. Poi nel silenzio di una via una musica che usciva dalla porta di una chiesa ci fermò d'improvviso: due clarinetti e un piano suonavano Mendelssohn. Nella penombra di sei piccole navate del '600, sotto gli affreschi impalliditi dai secoli passati, tre ragazze eseguivano le prove per il concerto della sera. Nessuno era tra i banchi ad ascoltare salvo noi tre, presi da quel miracolo inaspettato. L'atmosfera creata da quella musica ci teneva fermi, incapaci di lasciare il nostro posto. Non dimenticheremo facilmente l'incanto di quella Santa Maria dei Lumi di Bassano in Teverina.
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