sabato 11 gennaio 2020
Aun Meeting sull'economia, un autorevole imprenditore del Nord Est non ha esitato a individuare una delle cause della parabola discendente della produzione industriale con queste parole di autocritica: «Abbiamo sbagliato, perché abbiamo interpretato male l'idea di competizione, per cui i grandi imprenditori hanno vampirizzato i medi, e i medi i piccoli. Non sarà facile ricostruire il tessuto produttivo». Come in una agnizione, in quella ammissione ho visto compiersi una sorta di miracolo linguistico: la cosa che dice la sua parola, l'esperienza che ne invera il significato, come se quell'industriale si fosse all'improvviso trasformato in filologo e linguista. Infatti “competere”, da cumpetere, non ha nulla di sgomitante, muscolare, darwiniano: non è l'applicazione della massima homo homini lupus, bensì significa “andare nella stessa direzione (petere) insieme (cum), correre insieme verso la stessa meta”. Un sistema politico, sociale, economico, scolastico, universitario veramente competitivo non procede in marcia solitaria ma rema nello stesso senso, si pone gli stessi obiettivi, concorre allo stesso fine. Le buone ragioni dell'economia non vanno disgiunte dalle ragioni sociali, morali e anche linguistiche. Anche l'uso corretto delle parole aiuta a essere più responsabili e più riconciliati con gli altri e con il mondo.
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