mercoledì 22 aprile 2020
Carlo Cracco all’altro capo del telefono dice senza finte ingenuità che sulla metà dei coperti, se davvero fossero occupati alla riapertura, lui ci metterebbe la firma. Quindi non esisterebbe il problema degli spazi fra un cliente e l’altro, che sarà una prima misura – immaginiamo – di un processo di gradualità. Tuttavia la parola “immaginiamo” è la sola che possiamo dire, in assenza di una direttiva chiara per un settore, quello della ristorazione e dei bar, che occupa 1.200.000 addetti, per un fatturato che lo scorso anno arrivava a 85 miliardi. Ma il periodo troppo lungo di inattività, che ha già accumulato una perdita economica importante, rischia di farci trovare, fra poche settimane, 300mila disoccupati. E questo a fronte del dimagrimento di personale e della chiusura di potenziali 50mila imprese. Ogni giorno che passa, quindi, aggrava una situazione che solo cinque anni fa, l’anno dell’Expo, a Milano, rappresentava un boom. Ma né a Milano né altrove c’è una data certa circa la riapertura e soprattutto in quali condizioni. Un gruppo di ristoratori toscani (sono 5.000, di cui 1.700 solo di Firenze) si sono uniti in una libera associazione che ora rivendica certezze. «Non riapriremo fino a che la situazione non sarà normalizzata alle condizioni esistenti prima della pandemia» (beh, come pretesa è forse esagerata, ma lo stato d’animo di chi parla è quello dell’esasperazione. E c’è da capirlo). No quindi a misure restrittive inapplicabili, ma soprattutto no a passare per gli untori della gente. Chiedono pertanto di lavorare in sicurezza per sé e per i clienti, mentre certe idee (come le barriere di plexiglass fra un coperto e l’altro) hanno più il sapore di una de–responsabilizzazione che di una via d’uscita. Certo, occorrerebbe subito una moratoria sugli affitti, rendendo vacue le eventuali richieste di sfratto, mentre occorre l’abolizione della tassa sui rifiuti (non prodotti, fra l’altro) e dell’occupazione del suolo pubblico. Anche perché con i dehors raddoppiati, in molti casi, si potrebbero consentire le prove generali di un distanziamento utile e anche di far ripartire il lavoro. Le voci si rincorrono, da Firenze a Verona, dove chi ha iniziato a sviluppare il Delivery pensa di poter continuare. Un’indagine fra i 400 locali della guida al Delivery del Golosario.it proprio ieri mostrava che i ristoranti, almeno fino a fine anno, andranno in questa direzione e forse saranno anche di più. Di certo nel preservare un settore strategico come il turismo va evitata la pandemia di una disoccupazione improvvisa, dovuta magari al sottopensiero che ciò che riguarda il tempo libero non sia strategico.
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