domenica 2 febbraio 2020
L'ammonimento del celeberrimo passo evangelico «Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 18, 3-4) ci invita a una riflessione e a un confronto tra le qualità dei bambini e quelle degli adulti. Il bambino è caratterizzato dalla curiosità: per lui il mondo è una scoperta continua, un'epifania permanente, uno spettacolo che non basta mai. E noi? Ogni mattina che si leva il sole continuiamo a meravigliarci oppure la nostra assuefazione e il nostro cinismo meritano la severa sentenza di Leopardi «I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini trovano il nulla nel tutto» ("Zibaldone" 527, 20 gennaio 1821)? Il bambino dice la verità: dice quello che vede, che sente, che pensa, e lo dice come lo vede, lo sente e lo pensa. Il suo è un linguaggio aurorale, nativo, immediato; dice la verità, senza veli, senza diaframmi, senza interposta persona. Che dire di tante nostre parole che, anziché svelare e illuminare le cose (giacché la verità è alétheia, "disvelamento" di ciò che è nascosto), occultano e sequestrano la realtà? Il bambino è caratterizzato dal limite: è bisognoso (indigens), senza potere (inpotens), persino privo di parola (infans). Lo stato di precarietà del bambino non suona forse come un salutare monito per noi adulti sempre più decisi a oltrepassare il limite della nostra condizione umana?
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