sabato 26 marzo 2022
Comboni: i suoi “figli”, detti appunto “comboniani”, sono specialmente in Africa: merito suo! Vita totalmente consacrata al Continente Nero con la passione per l'uomo che è segno del Vangelo. Vita anche corta, la sua, 50 anni, ma piena di Dio e di uomini, in particolare gli ultimi, poveri e specialmente neri. Perciò…Comboni, e comboniani, basta la parola e pensi all'Africa. Lui Daniele: missionario, padre, profeta. È stato il primo vescovo cattolico dell'Africa centrale, quella dell'hic sunt leones dei romani antichi: ma non c'è andato per i leoni. Figlio di contadini poverissimi, nasce a Limone sul Garda, nel bresciano, il 15 marzo 1831, quarto di otto figli, e per studiare lo mandano a Verona, dove matura la decisione di farsi prete nel 1854 e già pensa all'Africa: nel 1857 con 5 compagni e un viaggio di quattro mesi arriva a Khartoum, capitale del Sudan: vita durissima, tra fame, malattie, siccità, soprusi, morte di alcuni giovani compagni di missione e anche ostilità di molti indigeni. Lui non cede, fonda la missione di “Santa Croce” e scrive agli amici in Italia: «Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si fatica e si muore per Gesù Cristo e per la salvezza delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere». È allora che conia il suo motto: “Nigrizia, o morte!”. Africa, dunque, come scelta di vita totale, ma con un tocco speciale: salvare l'Africa, sì, ma con l'Africa! Cioè con la forza umana ed anche religiosa degli stessi popoli africani. Eccolo, allora, che cerca aiuti in Europa: Pio IX, vari re, principi, vescovi, signori e poveri. Lui chiede a tutti aiuto spirituale e materiale per i suoi africani. Fonda Nigrizia, la prima rivista missionaria in Italia. Tra parentesi: è la prima rivista sulla quale ho scritto da giornalista su invito di padre Alex Zanotelli e sciaguratamente poi “soppressa” a metà anni '70 per ragioni a metà tra calunnie e malintesi proprio a proposito di “Guerra e disarmo”! Torniamo a Daniele Comboni: tra il 1867 e il 1872 fonda due Istituti, frati e suore, tutti missionari. Come esperto del vescovo di Verona prende parte al Concilio Vaticano I e convince 70 vescovi a firmare un proclama per l'evangelizzazione e anche “la liberazione” dei popoli africani. Nel 1877 Pio IX lo fa vescovo e vicario apostolico dell'Africa Centrale. Seguono anni di fatica e viaggi, di parole e proteste in nome del Continente dimenticato, ove funziona solo lo sfruttamento delle risorse e degli uomini resi schiavi. È guardato male anche da potenti uomini di Chiesa: disturbatore di tante cose. Tra l'altro deve fare i conti anche con un documento della Santa Sede che non rifiuta in assoluto la schiavitù. Nel 1880 torna in Africa per l'ottava volta con due programmi: la missione e la lotta agli schiavisti bianchi. Si procura nuove accuse e calunnie che arrivano anche a Roma. Tiene duro, ma le fatiche lo stroncano e a 51 anni muore a Khartoum il 10 ottobre 1881. I suoi “figli” e le sue “figlie” restano sul posto, e nei decenni crescono in tutto il mondo. Nel 1885 la sua tomba è profanata da estremisti islamici detti “mahdisti”. Dopo un secolo, Processi e riconoscimento di miracoli, ultimo dei quali la guarigione inspiegabile di una donna musulmana, Lubna Abdel Azir, il 17 marzo 1996 Giovanni Paolo II lo proclama beato e il 5 ottobre 2003 lo fa santo in San Pietro, chiamandolo «evangelizzatore pieno di entusiasmo e passione apostolica per l'Africa», e proclamandolo «protettore in cielo del Continente Nero». La sua festa è il 10 ottobre. Gesù Cristo morto, risorto e vivo nell'Africa e nelle sue genti sono stati le stelle del suo cammino: una bella luce, che brilla anche oggi.
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