giovedì 13 ottobre 2016
Canta, Clelia, col suo camice bianco e il naso rosso da clown. Gli anziani della casa di riposo di Mirano ridono e alla fine ringraziano: «Che bello che sei venuta». Lei lo sognava fin da piccola: non una carriera ambiziosa, non un telefonino all'ultimo grido, non la possibilità di girare il mondo. No, Clelia sognava di far sorridere i sofferenti. Quelli nel bisogno, come lei. Che da 4 anni è affetta da una forma di autismo.Ci si può arrendere, al male. Ci si può scoraggiare davanti alle sedute infinite di logopedia, di psicomotricità, di musicoterapia. Clelia a 13 anni è finita in ospedale per una crisi di panico, ci è stata per 10 giorni. «È stato lì che ho incontrato per la prima volta i dottori clown, i volontari del sorriso. Loro venivano tutti i giorni a trovarci, mi facevano ridere», racconta. Dimissioni alla mano, guarda dritta in faccia la sua mamma e le dice: «Voglio farlo anche io». Prima l'ingresso nel mondo del volontariato, le animazioni in corsia, poi il corso di formazione dedicato: 5 incontri, 3 mesi di tirocinio, infine l'esame e l'attestato di “clown a vita”.Clelia, che oggi ha 29 anni, tutti i giorni si divide tra l'ospedale e la casa di riposo. Canta, balla, racconta barzellette, inventa giochi. È la terapia della “Dottoressa in blue”: «Ho deciso di chiamarmi così in onore dei ragazzi autistici come me». I ragazzi chiusi in se stessi, che faticano a comunicare con gli altri e che per questo sembrano sempre tristi. Clelia, il dottore che cura la tristezza, testimonia con la sua stessa presenza che tutto è possibile. Anche per loro.
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