venerdì 29 marzo 2019
Sull'epoca in cui siamo entrati, quella che per alcuni giovani e meno giovani che in giro per il mondo ancora sanno guardarsi intorno e rifletterci su, ma non in Italia, dicono che è addirittura “prefinale” e troppe sono le cose che danno loro ragione, si cominciò a ragionare in pochi, mentre essa si andava affermando, su riviste come “Linea d'ombra”. Dedicammo allora molta attenzione non solo ad alcuni studiosi e pensatori di una certa età e tradizione, per esempio Gunther Anders oggi scoperto con un po' di ritardo dai francesi che però ne fanno un uso migliore di quello solo accademico che se ne è fatto in Italia, e cioè un uso politico, e a un più giovane Christopher Lasch (1932-1994), statunitense ma allievo indiretto di quella “scuola di Francoforte” che è stata il punto-cardine di ogni pensiero nuovo e attivo nello scorso secolo. Lasch scrisse nel 1979 il suo saggio fondamentale La cultura del narcisismo, che va considerato il libro-chiave della nostra storia recente, il libro che indicava la grande svolta nella storia e le nostre corresponsabilità nel suo declino (o forse nella sua rovina). Fu seguito da L'io minimo e altri testi nei quali si constatava come fossero crollate le speranze in un cambiamento positivo della storia che erano sorte nel dopoguerra e negli anni della ricostruzione. Le si può a ritroso amaramente elencare: le rivoluzioni cinese, indiana, cubana, africane...; la “nuova classe operaia” sorta dal neo-capitalismo...; i movimenti giovanili quando si osò perfino pensare ai giovani come a una nuova classe sociale la più decisiva di tutte... L'identità del singolo ne risultava aggredita dalla imposizione, bensì accolta e infine approvata, di un modello unico di esistenza del singolo e delle comunità almeno nei paesi ricchi, un modello che aveva il suo centro nel feticismo del consumo e dello sviluppo.... E ne derivava la coscienza o sensazione di essere entrati in un'epoca senza futuro, costretti a vivere in un immediato immemore ossessivo presente. L'individuo si guarda allo specchio anche se lo specchio è ormai vuoto e non gli rimanda nessuna immagine attiva, di fatto sempre più solo e sempre più massa. Gli avvenimenti della storia e della società contavano ormai per lui soltanto perché gli rimandavano la sua stessa immagine, bensì vuota: una identità fittizia, ognuno per sé dentro un mondo crudele (e fu fondamentale per noi, in rapporto alle esaltazioni della morte della famiglia venute dalle speranze o illusioni di certi movimenti, soprattutto da quelli hippie e femminista, il suo saggio su La famiglia, unico rifugio in una società senza cuore). Lasch è stato il più lucido, serio, profondo saggista del suo tempo; e lo è ancora del nostro, perché ci ha aiutato a capirlo e perché sa ancora provocarci, svegliarci, costringerci a ragionare e a rifiutare gli inganni di questa società, di questo sistema, di questa epoca che è forse prefinale. Sia lode alle edizioni Neri Pozza che ci ripropongo ostinatamente i suoi testi, tra i pochi davvero necessari per capire cosa siamo diventati e cosa è diventato il mondo che ci circonda e ci illude.
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