venerdì 13 aprile 2012
Ieri "Repubblica" (p. 44) due spunti. "Manchette" pubblicitaria e bacchettata: "Il pio Monti e i suoi chierichetti". L'Autore da ragazzo fu vero chierichetto: non se l'è perdonata e la lingua batte sempre ove il dente duole. Stessa pagina, Michele Serra ("The gay after") appassionatamente partecipe dei drammi dei giovani gay accusa «i due grandi tabù contro i quali (essi) si confrontano e si scontrano, quello sessuale e quello religioso». Tabù? La sessualità è dimensione essenziale della persona e il suo sviluppo è da sempre fenomeno complesso anche senza fare riferimento alle religioni. Quanto poi alla visione ebraico-cristiana, è chiaro che in essa il sesso è realtà buona affidata alla libertà della persona, vista come «maschio e femmina». Ogni «tabù sessuale» va quindi respinto senza alcuna titubanza. Leggendo si capisce però che Serra, e con lui molti, vorrebbero che in tema di sessualità non si ammettesse alcuna distinzione tra omo ed etero. Invece questa permane, anche se spiace che loro la interpretino inesorabilmente come oppressiva, fautrice di violenza e di ingiustizie dolorose. Che dire? Vero che quasi tutte le società patriarcali hanno represso e perseguitato l'omosessualità come reato e delitto sociale, ma oggi questo atteggiamento non trova alcuna eco nelle Chiese cristiane, compresa quella cattolica. La condizione omosessuale non è in sé peccaminosa e non deve essere reato; le persone omosessuali non sono escluse dalla Chiesa e non vanno discriminate. Ma come si può chiedere alla Chiesa di legittimare la pratica omosessuale? Fuori del matrimonio è peccato anche la pratica eterosessuale, e l'adulterio, non più reato, resta peccato. Nessun tabù, e nessuna discriminazione: accoglienza e rispetto, ma nella chiarezza…
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