giovedì 15 novembre 2018
Arriva in libreria una nuova edizione di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda (a curarla è Giorgio Pinotti per Adelphi) e subito al cinefilo viene in mente Un maledetto imbroglio di Pietro Germi, che del romanzo riprende la trama ma non il titolo. Strana decisione, se si considera che il film nasceva dal desiderio di sfruttare la notorietà conquistata dal romanzo. Il libro (i cui primi capitoli erano apparsi in rivista fin dal 1946) porta la data del 1957, la pellicola di Germi è del 1959 e l'impressione è che in quei due anni molto sia cambiato, oltre al titolo che dal romanesco è passato all'italiano, semplificando – e non di poco – l'elemento centrale della poetica di Gadda: lo "gnommero", ovvero il groviglio, il garbuglio di cause e concause che minaccia di rendere opaca la nostra lettura della realtà. Qualcosa di più complesso e irrisolto rispetto al "maledetto imbroglio" che il film di Germi promette di districare.
La città è sempre Roma, ma non più all'altezza del 1927, quando il regime fascista sembra accontentare tutti senza che per questo sia fatta giustizia. Quella del Maledetto imbroglio è la capitale del dopoguerra, a sua volta insidiata da ipocrisia e malaffare, ma almeno liberata dall'ombra della dittatura. Il film potrebbe guadagnarne in capacità di denuncia, ma il clima non è più lo stesso. Come non è più lo stesso il protagonista, il commissario Ciccio Ingravallo, che nel romanzo è tanto torpido e implacabile quanto nel film risulta brusco e febbrile. Nondimeno, l'interpretazione di Germi è notevole, come notevole è tutto il cinema di questo attore e regista di irrequieto eclettismo. Anche gli altri personaggi sono più o meno ingentiliti. La signora Liliana, per esempio, vittima del delitto in apparenza insensato su cui don Ciccio si trova a indagare. Nel Pasticciaccio la sua bellezza è più dichiarata, quasi vistosa, mentre l'attrice che la impersona nel film è l'elegante e un po' distaccata Eleonora Rossi Drago. E Assuntina, la domestica che nel libro si presuppone implicata nell'uccisione della padrona? Di sicuro il lettore se l'immagina più selvatica di Claudia Cardinale, così come al suo fidanzato Diomede non si attribuirebbe la faccia da bravo ragazzo di Nino Castelnuovo.
No, non è il solito gioco delle differenze tra il libro al film. Quello che stiamo cercando di descrivere è il processo che dallo gnommero conduce all'imbroglio, rendendo possibile la soluzione alla quale Gadda non aveva voluto o potuto pervenire. Nessun reo confesso nel Pasticciaccio e, per quanto ne sappiamo, nessun colpevole assicurato alla giustizia. A romanzo finito, ci troviamo grosso modo in zona Karamazov: anche il capolavoro di Dostoevskij, com'è noto, è rimasto incompiuto, sia pure per la morte dell'autore. E anche lì c'è un omicidio circondato dall'incertezza, al quale fa seguito un processo che punisce qualcuno lasciando impunito il colpevole. Con Un maledetto imbroglio, invece, siamo in zona Maigret, e sia chiaro che questo non è di per sé un male. Che lo faccia per esigenze di contratto o per rispettare un'intima convinzione morale, Germi fa in modo che il maggior sospettato ceda e si consegni, portando a compimento un percorso che Gadda lascia drammaticamente interrotto. Non per niente, all'epoca, il film ricevette un Nastro d'Argento per il miglior soggetto originale, come se il Pasticciaccio non esistesse o, meglio, come se fosse tutt'altro. È questo lo scarto tra la letteratura e il cinema? Uno risponde, l'altra interroga? Troppo facile pensarla così. Lo gnommero è ovunque, basta saperlo riconoscere. Perché qualsiasi racconto che non presupponga il garbuglio, alla fine, è un maledetto imbroglio.
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