martedì 24 giugno 2014
Cento anni dalla Prima guerra mondiale, cento città per la pace ma per ora nessun diritto universale alla pace. Non è uno scioglilingua ma una sintesi di quel che è accaduto ieri nel Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra: una rappresentanza di cento amministratori locali italiani ha consegnato altrettante delibere che chiedono il riconoscimento della pace come diritto fondamentale della persona e dei popoli. Già, perché all'articolo 1 dello Statuto, l'Onu chiarisce di avere tra i suoi fini quello di «mantenere la pace e la sicurezza internazionale», che è ben altra cosa. Una grave mancanza, secondo i promotori della Campagna internazionale per il diritto alla pace, che in Italia annovera tra gli altri il Comitato della Marcia Perugia-Assisi e il Centro diritti umani dell'Università di Padova. Per la verità, negli ultimi vent'anni migliaia di Comuni, Province e Regioni italiane hanno inserito nei loro statuti il riconoscimento della pace come diritto umano. Testimonianza di un comune sentire diffuso in Italia come forse in nessun altro Paese, ma con un valore poco più che simbolico. Altro sarebbe se a stabilirlo fosse l'Onu. «Quando si decide che la pace è un diritto, chi poi viola quel diritto deve incorrere in una sanzione, in una condanna – ha spiegato Flavio Lotti, della Marcia Perugia-Assisi –. Se uno decide di fare la guerra, dev'essere condannato dall'intera comunità internazionale».
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