mercoledì 25 ottobre 2017
L'altro giorno, su una bancarella in Piazza Conciliazione (a Milano, naturalmente) ho riconosciuto Il trovatore, di Raffaele Carrieri. «Quanto vuole per questo?», ho chiesto subito. Il libraio ha preso in mano il libro con circospezione e, leggendo il colofon, ha sussurrato: «È una prima edizione, del 1953. Sarebbero 25 euro, ma glielo posso lasciare a 20». Affare fatto.
Verso Carrieri ho un rapporto di lunga fedeltà. La civetta, infatti, è il primo libro di poesia che ho comperato da frequentatore di bancarelle, non ancora diciottenne. A casa, rimasi folgorato: «Civetta, quando tu canti / Quando batti sul mio cuore / L'antico mesto richiamo / Quando intrecci sul mio cuore / Il primo al secondo anello / Come un doppio limpido zero / Quando dai cieli morti / Al silenzio vedova torni / Nel breve giro di un suono / Leghi la mia alla tua notte».
«Come un doppio limpido zero»: che vuol dire? Non vuol dir niente, e dentro c'è tutto. È la scoperta della poesia. Da allora ho letto tutto Carrieri, compreso Il trovatore che però non possedevo e che è importante non solo per il Premio Viareggio vinto nello stesso 1953, ma per il saggio di Giuseppe Ravegnani in prefazione.
Giuseppe Ravegnani: un altro grande dimenticato. È stato, con Alberto Mondadori, il primo direttore dello “Specchio” mondadoriano, la collana di poesia inaugurata da Cardarelli e che ha accolto Ungaretti, Quasimodo, Montale, e tutto Carrieri. L'ampio saggio di Ravegnani – che ancora scriveva «Anzi tutto», «In fatti» – cerca di sgomberare il campo dai “luoghi comuni” che vogliono Carrieri debitore di Apollinaire, Ungaretti, Lorca, Éluard (il debito c'è, ma virtuosamente saldato da Carrieri), collocando il poeta nella grecità in cui è nato (Taranto, 1905), fino alla definizione perfetta: «Raffaele Carrieri, il greco-italico che dorme con un occhio solo, come Ulisse».
Di Carrieri si sono occupati tutti i grandi critici, da Carlo Bo a Francesco Flora a Mario Praz che ha prefato il singolare Brogliaccio di Carrieri (1950) che raccoglie aforismi, digressioni, spunti critici trafiggenti. Su Rimbaud, per esempio: «Il suo respiro ha l'affanno degli angeli che hanno compiuto una grande e vana fatica»; «Ci sono poche zone di silenzio nei suoi poemi. Il silenzio in Rimbaud è come la morte del mare».
Carrieri, che partecipò giovanissimo all'impresa fiumana di D'Annunzio buscandosi una fucilata che gli danneggiò stabilmente la mano sinistra, soggiornò a lungo a Parigi con poeti, pittori e scrittori, per poi trasferirsi a Milano anche come autorevole e temuto critico d'arte (Campigli, Fiume, Cantatore, tanto per fare tre nomi, devono molto a Carrieri) fino alla morte (1984). Oltre al Viareggio ha ricevuto altri riconoscimenti: Premio Chianciano (1959), Premio Tarquinia Cardarelli (1967), Premio internazionale Taormina (1970). Eppure Carrieri è tuttora scarsamente antologizzato, e non me lo so spiegare.
Per i settant'anni del poeta, Luigi Cavallo allestì un librone con testi, testimonianze, fotografie, pubblicato da Rusconi nel 1978. Contiene anche un inedito di Dino Buzzati che così vaticinava: «“"Sai chi mi ricorda Carrieri? – mi diceva un giorno un comune amico molto intelligente – Mi ricorda Modigliani”. “Cosa c'entra Modigliani?” “Carrieri, come Modigliani, sarà scoperto troppo tardi. Carrieri è uno che verrà dopo. Ciò che lui significa non l'abbiamo ancora capito. Lo capiranno fra dieci, venti, trent'anni. E lui, Carrieri, lo sa per il primo. Si intende: se tu lo interroghi sull'argomento ti risponderà di no, che è una pazzia. Si vergognerebbe a riconoscerlo”».
Quando scoccherà l'ora di Carrieri? Nel frattempo, gustiamoci questa delizia: «"Blu turco, folletto d'oltremare / In altre contrade e carte / Chiamato pure turchese. / Batticuore del celeste / Che vuole essere verde / Laggiù, nel Golfo Persico. / Verde Nilo, verde Bisanzio / Oro verde del Serraglio. / Quanto spreco di blu turco / Dall'azzurro all'azzurrino: / Nelle isole del turchino / Tutti i verdi fanno turchese».
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