lunedì 8 gennaio 2024
Dai funerali di Togliatti ai comizi di Pistoia, il fotografo (classe 1937) restituisce il senso e il valore del noi collettivo. E delle piazze piene. Come fa in un saggio il sociologo Filippo Barbera
Una delle immagini di "Noi" di Mario Carnicelli (Silvana editoriale): particolare di "Pistoia, 1962"

Una delle immagini di "Noi" di Mario Carnicelli (Silvana editoriale): particolare di "Pistoia, 1962" - Mario Carnicelli

C’era una volta la piazza. E pure noi. Oggi le piazze sono vuote e noi siamo diventati una sommatoria di “io” armati di telefonino per vivere le piazze digitali e le community dove manifestare quell’Io senza forse essere mai un vero Noi. Filippo Barbera in un interessante saggio da poco uscito per Laterza, Le piazze vuote (pagine 176, euro 18), invita a riempirle nuovamente di senso quelle piazze che hanno fatto la storia del Paese e della società e a «ritrovare gli spazi della politica»: quante opportunità di cittadinanza ci offre, oggi, lo spazio pubblico? Quanto spesso abbiamo occasione di sperimentarci, insieme ad altri, in azioni pratiche dove le nostre necessità trovano soluzioni che chiamano in causa gli assetti sociali più generali e i bisogni degli “altri”? «Le nostre società sono travolte da una recessione sociale, scrive nel gennaio 2023 il The Guardian: declino della fiducia, delle relazioni di amicizia e della partecipazione civica e comunitaria sono parte di una patologia del quotidiano diffusa in tutte le fasce d‘età e strati sociali – spiega nell’introduzione il sociologo dell'Università di Torino –. Dinamiche che la pandemia ha certamente accelerato, ma la cui ragion d’essere ha radici più profonde, riconducibili alla crescente rarefazione delle relazioni interpersonali nello spazio fisico e all’impetuosa crescita degli ambienti digitali. Al netto delle differenze di grado e di modello tra casi nazionali, la cifra generale è comune: sempre meno, come collettività organizzata, condividiamo lo stesso spazio in situazioni di compresenza fisica… Esistono partiti digitali, azioni collettive che si sviluppano in rete, piattaforme di scambio ed economia virtuali, ambienti di lavoro, consumo e svago che nascono, crescono e si trasformano senza chiamare in causa la condivisione dello spazio e le sue proprietà. Sì, forse possiamo fare a meno dello spazio e vivere insieme a distanza. È davvero così?».

Una delle immagini di 'Noi' di Mario Carnicelli (Silvana editoriale): Pistoia, 1962

Una delle immagini di "Noi" di Mario Carnicelli (Silvana editoriale): Pistoia, 1962 - Mario Carnicelli

A ricordarci con le immagini il valore della piazza e del noi, è Mario Carnicelli fotografo nato nel 1937 ad Atri, in provincia di Teramo, e cresciuto a Pistoia. A partire da qui ha lavorato e viaggiato per l’Italia e per il mondo come fotogiornalista freelance e inviato speciale, collaborando con varie riviste e quotidiani italiani ed esteri ed esponendo in varie mostre personali e collettive in Europa e negli Stati Uniti. Il suo metodo è osservare l’individuo così com’è, nella sua natura di essere sociale, appartenente alla storia e alla comunità, con la quale condivide le circostanze che ne hanno segnato la vita e l’identità. Raccontare l’individuo nell’essere comunità. La storia particolare e individuale mentre si compie una storia collettiva. Così avviene nella serie di fotografie C’era Togliatti, che documentano i funerali del segretario generale del Partito Comunista Italiano, nel 1964, con un milione di cittadini in piazza a Roma: gli sguardi preoccupati, i pugni chiusi, le posture, le bandiere, gli abiti semplici. Ciascuno porta qualcosa di sé in quella piazza: «Il dolore e lo sgomento dipinto sui visi, sugli atteggiamenti, sugli abiti buoni indossati per l’occasione. I rosari fra le mani e i fazzoletti rossi al collo. Il silenzio assoluto». La stessa visione di piazza compatta troviamo in Psicologia della folla, un ciclo dedicato a manifestazioni, assemblee e comizi a Pistoia, la sua città, tra il 1962 e il 1972, gli anni delle grandi lotte dei lavoratori e delle utopie. Ma lo si ritrova anche nella serie I’m sorry, America! American Voyage del 1966-67, o nelle fotografie scattate a Hong Kong, Macao, Bangkok nel 1960, in Giappone nel 1972, in India nel 1977 e in altri luoghi come il Belice terremotato nel 1968 o nella sua Atri fra il 2002 e il 2012, emerge come «scultore di gruppi di essere umani», per usare un’espressione di Roberta Valtorta in un testo di Noi, il volume del fotografo, vincitore nel 2022 del Prix Viviane Esders pubblicato da Silvana Editoriale (pagine 96, euro 39).

Semplicemente “Noi”. Quel noi delle piazze piene e dell’essere pienamente parte di una comunità. Il noi che fa la “Storia” cantata da Francesco De Gregori. «È sufficiente lo spazio di una qualsiasi piazza per radunare tutta la società umana», annota accanto a una foto Mario Carnicelli. Basta osservare le persone, una ad una, per rendersi conto di quanta umanità diversa ci sia, non tanto in senso retorico, ma letterale: perché l’obiettivo del fotografo, in quel contesto di massa, alla fine, si concentra sui singoli, sui microcosmi, quasi escludendolo, il contesto. «Guardo le fotografie di Mario – scrive ancora Roberta Valtorta – e subito il pensiero va a ciò che ha affermato, nei suoi libri e nelle sue lezioni, la cara amica e filosofa Eleonora Fiorani: siamo arrivati a un tipo di civiltà, quella contemporanea, nella quale il concetto di “noi” (quindi di comunità, partecipazione, appartenenza, consapevolezza di esistere, ognuno di noi insieme e in relazione agli altri) è stato sostituito da quello di “ii”. Il neologismo, che arditamente porta al plurale ciò che plurale non può essere, cioè il pronome “io” (emblema della singolarità, dell’individualità, entità che percepisce sé stessa come distinta dal non-io, cioè dagli altri), sta a indicare una società di individui tra loro separati, autoreferenziali, monadi indipendenti l’una dall’altra e non comunicanti, oppure comunicanti solo in modo intermittente e strumentale, occasionale. È interessante osservare che perfino la grafia, al pari della geometria euclidea, mostra che le due “i”, proprio come due parallele, non si incontrano. Invece per Mario Carnicelli esiste il “noi” e su questo “Noi” ha incentrato la sua fotografia. “Una piazza abbraccia l’umanità” dice subito appena ti incontra, e questo è il suo biglietto da visita». Così «il fotografo recupera il significato più profondo dell’antica agorà, luogo fisico e simbolico dell’incontro e della condivisione».

Nelle piazze di Carnicelli, dai funerali di Togliatti ai comizi di Pistoia, fino ai gruppi di persone e di ragazzi incontrati per le strade dell’America, c’è un “noi” che fa la storia. Insieme.

Una foto e 965 parole.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI