domenica 29 maggio 2011
«Perché un dibattito sulla laicità in Italia è quasi impossibile». Con questo drammatico titolo sul Corriere della sera, Tullio Gregory, storico della filosofia, apriva (domenica 15) proprio quel «dibattito impossibile», cui hanno partecipato, nei giorni e nella settimana successivi, un'altra filosofa, Michela Marzano (Università di Parigi V), su Repubblica, i politici Maurizio Sacconi e Gaetano Quagliarello sempre sul Corriere e pochi altri su altri quotidiani. Nessuna risposta concreta, però, è arrivata a quell'invocante «perché». Soltanto qualche opportuno accenno al relativismo etico che caratterizzerebbe uno Stato "laico" alla maniera dei "laici" attualmente su piazza. In realtà, a volte, il dibattito è impossibile anche perché, come in Francia, si perde sulla frivola questione del burqa o della nicab islamici, della kippà ebraica, del velo delle suore o della croce dei sacerdoti. Oppure perché, come in Italia, il dibattito prende assai poco laicamente di petto la Chiesa e la fede, per negare loro il diritto a una presenza e a una essenza anche pubbliche. Invece il vero "perché" di quella impossibilità è il "furto" della terminologia cristiana perpetrato da chi si dichiara abusivamente "laico". Qui non c'è spazio per fare la storia di questo furto, ma è evidente che, al di fuori della Chiesa, laici e laicità sono parole usate generalmente contro la comunità dei credenti. Eppure il concetto di laicità («Date a Cesare... date a Dio...») fu definito da Gesù Cristo mentre oggi i "laici" (virgolettati) dicono: «Date tutto a Cesare e niente a Dio». E poi la parola "laico" fu coniata poco dopo da Clemente I (quarto pontefice, anni 91-101 circa), per indicare, in una lettera alla Chiesa di Corinto, i membri del popolo di Dio (laikós da laós, popolo) e distinguerli dal clero. Allora, per rendere più semplice «il dibattito sulla laicità» (quella fuori e contro la Chiesa) e indicare la laicità autentica (quella dei cristiani, non quella positivista), non c'è che un modo: restituire le due parole " laici e laicità " ai legittimi proprietari, trovandone un'altra che, oltretutto, libererebbe i "laici" da una (per loro) spiacevole dipendenza linguistica dal cristianesimo e noi cristiani dall'uso pesante delle virgolette. Allora, cari "laici", restituiteci finalmente la laicità rubata.
L'ESPERTO
A volte basta una "voce dal sen fuggita" a farti capire chi è che parla. Per esempio: un giornalista assai noto e ritenuto da taluni esperto di cristianesimo e di Chiesa, risponde a un lettore che accusa la Chiesa di ritardi dottrinali e la invita ad «aggiornarsi». La risposta del giornalista cita «una fedele che aveva annunciato al confessore il suo imminente matrimonio con un divorziato. Pur trattandosi di un progetto " conclude l'"esperto" " le è stata negata l'assoluzione». Che, ovviamente, non poteva avere, perché anche le intenzioni possono essere peccaminose. Scommetto che del giornalista esperto in questione avete già capito il nome: Corrado Augias (La Repubblica, giovedì 26).

OMO-PROSELITISMO
Una mezza pagina del Fatto Quotidiano (venerdì 217) è dedicata ai «nuovi eroi», quelli della «love story di Gus & Waldo». Si tratta di un fumetto che ha per protagonisti due giovani pinguini gay «nati dalla matita» (gay anche quella?) di un disegnatore di successo, che ne narra «la vita coniugale». La cosa, presentata come innocente, è invece preoccupante. Il mondo gay si dedica, adesso, al proselitismo anche tra i bambini?
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