sabato 18 giugno 2011
Ieri, "Italia Oggi", p. 8: «Carceri così non sono sostenibili. La detenzione non può essere la sola forma di punizione». L'avvocato Emilia Rossi si associa con molti penalisti italiano allo sciopero della fame di Marco Pannella e propone «l'amnistia, strumento… che ha sempre accompagnato le riforme organiche del nostro sistema giudiziario». Tema complesso, cui qui si aggiunge la distanza dalla visione di Pannella, ma occasione per due ricordi. Primo: il plauso unanime del Parlamento italiano a Giovanni Paolo II quando nell'Aula di Montecitorio parlò dell'amnistia, già necessaria allora. Secondo, e personale. Mons. Cesare Curioni (1923-1996), una vita intera dedicata ai carcerati, 30 anni cappellano a San Vittore e altri 15 al Ministero di Giustizia Ispettore Generale Cei dei Cappellani di tutte le carceri d'Italia, carissimo a Paolo VI, nel 1992 in un convegno del Ministero ricordò che i detenuti non sono «mostri», ma persone, figli di Dio e «fratelli». Ovvietà? Sì, non ovvio aggiungere che l'attuale sistema carcerario non solo non rieduca – la recidività supera il 60% – ma incentiva il delitto in tanti modi. E allora si chiese se «è giusto che il carcere, come di fatto oggi avviene, sia l'unica punizione». Succedeva e succede che una detenzione anche di soli 3 o 4 mesi fa perdere il posto di lavoro e spesso porta allo sfascio della famiglia. Di qui la sua «modesta proposta»: «La società mantenga il carcere, ma per quei casi estremi in cui, per la qualità del reato, o per la pericolosità del soggetto, non sia possibile un'altra soluzione», come p. es. l'obbligo di lavori di utilità sociale in orari a scelta, ecc. Era il 1992: sono quasi 20 anni, e 11 dall'applauso unanime a Giovanni Paolo II. Siamo ancora lì, e peggio. È giusto che paia pensarci solo Pannella?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI