giovedì 27 settembre 2018
Ogni istituzione umana conosce luci e ombre, e non è sempre detto che coloro che ne hanno fatto parte siano nella condizione migliore per individuarle. Se dovessi comunque indicare una luce, tra le tante possibili, nell'esperienza vissuta come membro del Csm negli ultimi quattro anni («il grande lavoro svolto», come ha detto nel commiato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella), porrei senz'altro l'accento sull'attenzione al ruolo del miglioramento organizzativo quale strumento essenziale per una giurisdizione che sappia bilanciare efficacia ed equilibrio, e dunque che sia all'altezza delle attese di giustizia dei cittadini migliori. Un approccio organizzativo meditato e corretto riesce infatti ad attenuare gli svantaggi derivanti da carenze strutturali e di risorse finanziarie e di personale (come hanno confermato sia l'ultima visita del Csm uscente in un ufficio giudiziario, pochi giorni fa ad Alessandria, sia il convegno promosso dall'Associazione Bachelet nella medesima occasione).
E le ombre? Ne intravedo due. In primo luogo, non mi ha mai del tutto convinto l'assetto dei procedimenti disciplinari, a causa soprattutto della possibilità (che scelte organizzative interne al Consiglio potrebbero rendere meno problematica) che il “giudice” disciplinare, che in molti casi conosce gli stessi fatti all'interno di altri procedimenti consiliari, già si sia pronunciato o comunque si sia fatto un'idea precedentemente al giudizio stesso. La Costituzione ha disegnato la responsabilità disciplinare del magistrato in forme giurisdizionali al fine di accrescere le garanzie dell'incolpato, non di diminuirle… In secondo luogo, ho constatato la difficoltà di dare conto, in forme e modi comprensibili, di molte scelte che il Csm fa, soprattutto nell'esercizio della funzione di nomina dei cosiddetti capi degli uffici. Messe nel conto (e il più possibile da parte) le derive correntizie, andrebbe sottolineato di più, anche nelle motivazioni dei provvedimenti, che l'idoneità a compiti direttivi non è la mera somma del percorso professionale e delle competenze, ma una valutazione d'insieme, che non può non vedere in primo piano l'equilibrio e la reputazione del magistrato. Insomma, come ha opportunamente rilevato lunedì scorso al Csm, alla presenza del Capo dello Stato, il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, professionalità non è solo competenza.
Su queste “ombre” il nuovo Consiglio avrà certamente modo di lavorare, in una situazione per molti aspetti inedita e con assetti e dinamiche interne ancora da definire, in particolare per quanto attiene alla componente non togata. Faciant meliora sequentes? Non ho dubbi che sarà così. E lo sarà ancora di più se il nuovo Csm partirà da una premessa: il modello costituzionale di giurisdizione è giustamente apprezzato nel mondo, ma le sue implicazioni vanno svolte e praticate secondo la lettera e lo spirito della Costituzione.
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