domenica 8 aprile 2007
«Se la Chiesa esprimesse la forza del Vangelo». Certi "laici" conoscono poco il Vangelo, non credono che Gesù Cristo sia figlio di Dio e hanno idee un po' vaghe di Dio, ma ne scrivono con la supponenza che è figlia dell'approssimazione e con parecchi tonfi. La citazione iniziale (da Repubblica, giovedì 5) è di Corrado Augias, il quale alla Chiesa spiega che non deve «trasformare legittime preoccupazioni morali in battaglie ideologiche» né «scagliarle, come nel Medio Evo, per forza di "Verità", così rinunciando a farle diventare patrimonio comune». Dovrebbe proporre menzogne? C'è già chi lo fa. Infine: «Una Chiesa meno chiusa (meno debole) potrebbe contribuire alla costruzione di un nuovo umanesimo coniugando libertà e responsabilità come talvolta ha fatto in passato quando la spinta del Vangelo ha prevalso sulla ricerca di un bene immediato». Passi il «talvolta», ma il «bene immediato» che cos'è? I Dico? Conclusione: «I vertici delle gerarchie» dimenticano che «l'aspetto luminoso della loro religione stava nel "dialogo" tra gli uomini, in quella "misericordia" di cui nessun'altra fede ha saputo, talvolta, parlare». Anche Augias dimentica: della misericordia, lo ha insegnato Gesù, fanno parte la correzione fraterna e, talvolta, anche la frusta e l'invettiva. Stesso giorno e giornale: Francesco Merlo lamenta che la Chiesa consenta alle confraternite siciliane di partecipare alla processione del Cristo Morto con il volto incappucciato. Manifestazioni da abolire, perché «hanno carattere espiatorio e dunque tolgono religiosità alla religione» (?) ed «eliminano qualsiasi traccia di allegria non solo dalla processione, ma dallo stesso Dio». Finale: «Nel momento in cui in tutto il mondo occidentale si discute dell'opportunità di proibire i veli, lo chador, il burqa, insomma i simboli dell'oppressione islamista contro le donne, come fa la Chiesa a incappucciarsi e a farsi latitante?». Povero Merlo: gli incappucciati sono uomini, la Chiesa non è l'Islam e partecipare a una processione non è latitare. Il giorno dopo, però, la prima delle pagine culturali di Repubblica era dedicata ai «pregiudizi in Europa» sul velo islamico: «È spaventoso che qualcuno voglia bandirlo». Andò per fischiare e fu fischiato. BUSINESS GAY BUSINESS Perché tanto "interesse" per i gay? Chi finanzia i «gay pride»? Il Riformista (venerdì 6) - che tenta di addebitare ai «vertici della Cei», per le «espressioni di intolleranza contro gli omosessuali», il suicidio di Marco, dileggiato a scuola come gay, - lo aveva già spiegato, involontariamen- te, sabato 31 marzo: «Esiste un marketing della diversità» che si basa su un «target omosessuale calcolato in un bacino di cinque milioni di potenziali acquirenti»: un «prezioso, colto, abbiente, consapevole target gay». Infatti «chi meglio delle coppie omosessuali rappresenta il mitico "duble income no kids" (doppio impiego niente bimbi) inseguito dai guru del marketing?» È la cronaca di un convegno su «Omosessualità e politiche aziendali», in cui si è auspicata la nascita di «grandi investitori» in questa fetta di mercato e di «cattedre di cultura gay» nelle università.
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