giovedì 21 marzo 2019
Sette anni fa, dopodomani. Duecentotré centimetri di altezza, 203 partite in Nazionale. La maglia era della Softer Forlì, campionato di B2, il campo quello di Macerata. Vigor Bovolenta, “Bovo” per tutti e per sempre, va in battuta. Alza la palla ma non la colpisce. Si porta una mano sul fianco sinistro. Poi crolla per terra, come un canotto al quale hanno sfilato l'aria. Il defibrillatore in campo non c'è, arriva l'ambulanza, ma l'ospedale per lui è troppo lontano: arriva in condizioni disperate. Muore pochi minuti dopo. A 37 anni, prima di una battuta.
Lei invece si chiama Federica Lisi, e la sua è la storia di una donna forte che ha imparato a diventare fortissima. Pallavolista lei pure, con un discreto passato agonistico. Innamorata di Vigor “Bovo” Bovolenta. Capace in una notte di marzo del 2012 di rispondere così al medico che le comunicava che il cuore di suo marito si era fermato per sempre: «Ora io devo vivere cent'anni. Lo devo ai miei figli, e a Bovo. Ora che tu non ci sei più, io ci sarò sempre. Per voi...».
È proprio vero che noi, o almeno chi tra noi ha un briciolo di cuore o di cervello, non vediamo quasi mai le cose come sono. Di solito vediamo le cose come siamo. Ci immedesimiamo nelle storie che leggiamo sui muri, sui giornali o in televisione. Due minuti e pensiamo: come reagirei? E se fosse capitato a me? Si può amare per sempre, reagire al dolore più grande e riempire un'assenza totale, definitiva? Difficile rispondere, difficile avere il coraggio di scegliere. L'amore, per i più fortunati che lo vogliono, non finisce quando una storia finisce. A volte si nasconde e ricresce, torna a battere in un altro modo.
Già, appunto, i figli. Federica e Vigor non potevano averne. Lui non era fertile, avevano detto gli esami. Sembrava un capitolo chiuso. Provano invece con la fecondazione assistita. Provette congelate, speranze, ormoni, attese, punture, delusioni, stanchezza. Poi, all'improvviso, la prima gravidanza. Il 27 maggio 2004 nasce Alessandro. Avrà 8 anni la sera in cui suo padre muore in campo. Abbastanza grande per capire. Troppo piccolo per accettare.
Solo chi pensava di non poter avere figli e alla fine ci riesce, forse può capire il senso di un desiderio che non si estingue dopo il primo insperato successo. Pochi giorni prima che Bovolenta parta per le Olimpiadi di Pechino 2008, nasce Arianna. E il 7 gennaio 2011, sempre grazie alla fecondazione assistita, ne arrivano altre due, gemelle: Aurora e Angelica.
Federica non ha rimosso. Non ha chiuso. Non ha mai smesso di vivere per Bovo anche senza di lui. E di fare qualcosa per gli altri. Ha fondato un'associazione che si chiama come il suo libro, “Noi non ci lasceremo mai”, nell'ambito dell'Onlus Progetto Vita. Lo scopo: installare defibrillatori in vari punti delle città per aiutare persone in emergenza in caso di arresto cardiocircolatorio.
Ma la storia più bella è un'altra. Poche settimane dopo la scomparsa del marito, Federica scoprì di essere ancora incinta. Incinta del quinto figlio. Suo e di Bovo, con Bovo che non c'era più. Una gravidanza naturale, la prima. Il miracolo della vita che si fa beffe della morte, l'ultimo dono fatto da un uomo all'amore della sua esistenza, l'ultimo soffio di vitalità ritrovata e concessa da un destino beffardo, la struggente ma straordinaria esperienza di un bambino che diventa orfano di padre mentre è ancora dentro il ventre della madre. Perché la vita spesso non ha spiegazioni, è solo luce. Premia gli uomini e le donne coraggiose, corona vicende incredibili, espande senso dove senso sembra non esserci.
Parto cesareo, il quinto, diverso da tutti gli altri. Federica decise di farlo nascere il 30 ottobre quel bimbo, la data del compleanno del papà. Lo ha chiamato Andrea, che significa “uomo coraggioso”. «A volte - ha raccontato - il vento si porta via la parte più importante di noi, senza la quale ci sembra di non poter più vivere. Ma poi non è così. Qualcosa resta, sempre».
E per sempre.
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