Bobbio e la mitezza, la più «impolitica» delle virtù: ma non tutto è politica
sabato 6 giugno 2009
In giorni di elezioni e di surriscaldamento politico, il mio primo pensiero si dirige più velocemente che mai verso ciò che non è politico, che è fuori dalla politica, che la ignora o la contraddice. Così, di Norberto Bobbio, il nostro più letto e autorevole filosofo della politica, di cui quest'anno si celebra il centenario della nascita, ho ripreso un saggio prezioso e insolito, intitolato Elogio della mitezza (Pratiche editrice 1998).
«La mitezza» scrive Bobbio «non è una virtù politica, anzi è la più impolitica delle virtù. (") Proprio per questo mi interessa in modo particolare. Non si può coltivare la filosofia politica senza cercare di capire quello che c'è al di là della politica, senza addentrarsi, appunto, nella sfera del non-politico (") La politica non è tutto. L'idea che tutto sia politica è semplicemente mostruosa».
Nel corso dell'ultimo secolo, l'esaltazione della politica come totalità o culmine dell'agire umano ha condotto a enormi mistificazioni e distorsioni morali, a regimi totalitari, nei quali anche il lavoro, la cultura e la scienza in sé non valevano se non incrementavano la politica. Ora, per Bobbio, oltre alle virtù di chi comanda e governa (audacia, fermezza, clemenza ecc.) ci sono altre virtù: che sono sociali ma non politiche e sono proprie dell'uomo privato, «di colui che nella gerarchia sociale sta in basso, non detiene potere su nessuno, talora neppure su se stesso».
Se le virtù sovrane e forti fanno la Storia con la maiuscola, le virtù umili fanno parte della «storia sommersa» o della «non-storia». La mitezza è la prima di queste virtù: è il contrario dell'arroganza e della prepotenza, del desiderio di sopraffare e di vincere, con la forza o con l'astuzia. Due virtù complementari della mitezza sono, secondo Bobbio, la semplicità e la compassione: ma se è vero che queste sono virtù private, è altrettanto vero che la vita pubblica, quando le ignora, diventa un incomprensibile inferno.
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