venerdì 11 febbraio 2011
Come ai bei tempi dei crolli coreani e dei successi mondiali, la Nazionale non è mai razionale. E trascina facilmente dalle stalle alle stelle, per aspera ad astra - direbbe Lotito - e viceversa, dall'inferno al paradiso e ritorno, sol che un avversario degno come la Germania ne dia motivo.
Ai miei tempi - parliamo di Deutschland Uber Alles - ci impartivano lezioni i figli di Adenauer, poi quelli di Brandt, e ancora di Kohl, che poi calcisticamente perdevano le più importanti battaglie proprio dagli italianuzzi non più stortignaccoli ma ben nutriti: adesso chiniamo il capo reverenti davanti a Frau Angela Dorothea Merkel, dal suo governo è partito l'imput per convincere il tecnico Loew a realizzare una nazionale politicamente corretta, ovvero piena di oriundi rappresentanti delle etnie localizzate in Germania, quindi "buona", "intelligente", "costruttiva"; anche se poi il calcio tedesco - guarda un po' - è oggi all'attenzione di tutti per le partite truccate a fin di scommesse.
Ma gli oriundi sono nonsolocalcio bensì un impegno sociale: e allora l'abbiam fatto anche noi l'esperimento, prima con Amauri, poi con Ledesma, poi con Thiago Motta, che non hanno lasciato il segno, mentre la firma su un pareggio celestiale ce l'ha messa - guarda caso - l'Emigrante, un italianuzzo da anni esule e incompreso, vezzeggiato e rifiutato insieme: quel Pepito Rossi che, per sua fortuna, sgobbando all'estero non s'è fatto bamboccione e ha sempre una gran voglia d'Italia. Grazie alla sua inesausta passione siamo tornati a credere nella Nazionale abbandonata con un po' di vergogna in Sudafrica.
Viaggio nel passato, e torno a Dortmund 2006, quando Grosso e Del Piero abbatterono la presuntuosa Germania che aveva pensato di tenderci un agguato nella "popolare" capitale della Ruhr: dove non hanno ancora superato lo choc finendo per fischiare ignobilmente l'Inno d'Italia. Allora eravamo perseguitati dalla fama di imbroglioni causa Calciopoli, ci aspettavano per farci neri; sapemmo reagire; credo che trovammo la forza spirituale e fisica necessaria per vincere al fine di mondarci d'ogni peccato. E a Dortmund siamo tornati non caricati da qualche evento negativo ma desolatamente eredi di un Mondiale sciagurato perduto con neozelandesi, paraguagi e slovacchi: quanto bastava per sentirci nobili decaduti con rabbia o umili operai addetti alla ricostruzione del mitico calcio azzurro.
La scelta di un Ct artigiano, Cesare Prandelli, ci ha indirizzato sulla giusta via dell'umiltà, della passione, e vada anche per quegli oriundi che per ora non servono a nulla ma danno l'impressione di una latente concorrenza prima non prevista. Prandelli è il vero selezionatore, umile la sua parte, che non magheggia né fa proclami ma attinge dal campionato le forze che il campionato esibisce, giungendo così a rinnovare buona parte dell'impianto senza pianger troppo sugli assenti.
M'è piaciuto il ritorno di Cassano: lo scellerato in via di redenzione, insieme a Rossi ha rincitrullito i tedesconi che non riuscivano a togliergli la palla con le buone né con le cattive, peraltro perdonati da un arbitro compiacente. All'altezza del compito un po' tutti gli altri, sottotono solo Pazzini - si vuol troppo, da lui, di 'sti tempi - e Montolivo, inutile fissazione del sor Cesare. Avrei visto volentieri alla prova anche Matri: vorrà dire che ce lo terremo come sorpresa quando le partite varranno tre punti. Un pari con la Germania ha sempre valore, oggi ne ha di più perché amiamo illuderci d'esser tornati grandi. Ovvio.
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