venerdì 2 dicembre 2011
Si chiama esterofilia. Nei casi estremi, anche disfattismo. Antico vizio italico. Ne è afflitto in particolare lo spettacolo e ne parlo perché c'è di mezzo - vedrete - il calcio del presidente cinematografaro Aurelio De Laurentiis. Che porta l'Italia nel Mondo ma forse preferirebbe portare il Mondo in Italia. Già: spettacolo. Il calcio - ho fatto notare al patron del Napoli - è il più spettacolare degli intrattenimenti. Il film, bello fin che vi pare, è uno, e più ha successo più è ripetuto. Può raggiungere milioni di persone in settimane e mesi. La sua massima virtù, molto prosaica: l'incasso. Checco Zalone - dicono - è un campione. D'incassi. Non sarà mai Cavani, né Ibra, mai Pirlo o Eto'o. Ai campioni di pallone i più grandi artisti han sempre chiesto l'autografo. Quando incontravo Pavarotti mi chiedeva di Sivori, di Vialli, di Del Piero. La partita - insomma - ha la virtù d'essere irripetibile, una storia sempre nuova, globalmente e nei dettagli. E in un sol bòtto - vedi una finale mondiale - può farsi due miliardi di spettatori, quattro miliardi di occhi. Un'emozione planetaria suscitata anche da un solo gesto. Restiamo in Italia, a Napoli-Juventus, l'ultimo grande spettacolo. Ho fatto notare a Conte, l'altra sera, che Pepe ha segnato il magico gol del pareggio a Napoli imitando addirittura Pelé che talvolta usava il corpo dell'avversario - le gambe, in particolare - per fargli carambolare addosso il pallone e far gol di rinterzo. Pepe non è Pelé, non lo sarà mai: ma d'istinto - o di fortuna - ne ha imitato un raro gesto. Altro che cinema. Sempre nuova, sempre emozionante, la partita, anche la più sparagnina. Diceva Frossi (goleador olimpico del '36): lo 0-0 è il risultato perfetto, i gol sono errori. L'altra sera, al San Paolo, sei bellissimi “errori” (Hamsik, Pandev, Matri, Pandev, Estigarribia, Pepe) hanno prima esaltato poi ferito il popolo napoletano mentre in Italia (e nel mondo) il popolo juventino salutava il ritorno sulle scene della “Signora Omicidi” di breriana memoria. Una partita e insieme un trattato di calcio: è rinata grazie a Mazzarri, quello che gioca “a tre” - ne tenga conto De Laurentiis - la mitica Scuola Napoletana cara a Gino Palumbo e Totò Ghirelli, s'è confrontata con la scuola “italianista” cara a Brera, con una Juve dal contropiede fulminante (alla Lazio ha segnato in 13 secondi, parata e rinvio di Buffon, palla da Matri a Pepegol) voluta potente e cinica dallo juventino doc Antonio Conte. Beh, Mazzarri magari non è contentissimo di sentirsi dare del qualunquista, piacerebbe anche a lui essere “italiano” fino in fondo: c'è riuscito con il Manchester City, offrendoci una delle partite più belle della Champions. La Coppa dalle Grandi Orecchie “sente” fortemente il momento felice delle italiane e sarebbe bene che ce ne accorgessimo anche noi, patrioti di rinterzo pronti a saltare sul carro del vincitore quando si vince un Mondiale o una Coppa, ma d'abitudine laudatores smaccati ieri del calcio inglese e del fergusonismo, oggi delle barcellonerie e del guardiolismo. Ho letto - pensate - che Guardiola è anche intelligente, raffinato e colto rispetto ai tecnici italiani notoriamente trogloditi. Bisogna aver pazienza, nel mondo dello spettacolo. Nel dopoguerra - ricordo - si esaltavano solo gli attori americani e francesi, questi ultimi spesso protagonisti di film noiosissimi; e Totò, invece, per i critici era solo un guitto da strapazzo. Sapete com'è finita. E anche la sua era Scuola Napoletana.
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