sabato 31 dicembre 2022
Salvatore Baldassarri, nel 1975 vescovo “dimissionato” per ordine del Papa! A lui scrisse così Giorgio La Pira: «…permetta che le dica: è tanto bella, tanto vera, tanto storicamente valida la sua pastorale! Ravenna le appartiene, con tutta la sua storia: perché appartiene alla Chiesa». Lui, nato il 4 gennaio 1907 a Faenza, è prete il 13 agosto 1929. Al centro della sua vita il Vaticano II: partecipa a tutti i lavori senza mai dimenticare il suo popolo, cui scrive ben 30 “Lettere dal Concilio”, spesso molto avanti rispetto ai ritmi della Chiesa del tempo. Da arcivescovo ospita incontri con Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, don Zeno, Michele Pellegrino e Carlo Maria Martini. Qui la sua “Luce”: «Per me il Concilio è stato l’ora di Dio per dare una nuova luce, per togliere la polvere accumulata nei secoli». A 47 anni, il 3 maggio 1956, Pio XII lo vuole arcivescovo di Ravenna e Cervia. La porta della sua casa e della sua Chiesa è aperta a tutti. Così ha scritto il cardinale Achille Silvestrini: «Il magistero dell’ultimo decennio dell’episcopato Baldassarri presenta tracce evidenti di vera “profezia”». Il Concilio è l’avventura della sua vita. Anzitutto si definisce il suo modello del vescovo, predicatore del Vangelo a tutti, promotore e garante dell’unità della fede e servo di tutti, specie dei più deboli, difensore dei diritti dell’uomo, vescovo che nello stesso tempo non confida in particolari forme di attività politiche e non indirizza specificamente l’elettorato. Forse proprio qui, nel rifiuto di agire direttamente in politica la vera causa che nel 1975 lo portò alle “dimissioni” dal suo ministero episcopale. Era un momento speciale:
al referendum del 1974 sul divorzio seguì una serie di risultati elettorali negativi per la Dc (Democrazia cristiana) fino allora appoggiata dalla Chiesa per ragioni di necessità alla fine della guerra, ma poi anche di potere fino agli anni 70. Lui interviene liberamente, e parla anche se sarebbe comodo allinearsi o anche solo tacere, ma interessi potenti creano contro di lui le condizioni prima di una Visita apostolica alla arcidiocesi (1970), e poi della rinuncia all’incarico. Non disprezzava la politica o l’intervento nel sociale: aveva preso parte prima come “commissario” e poi assessore nella giunta del Cln (Comitato di liberazione nazionale), fondatore di movimenti cattolici e della stessa Dc, vicino ad un cattolico integrale e libero come Benigno Zaccagnini, amico e conterraneo. Libero sempre nel guardare quella che per lui è la realtà della Chiesa: «La teologia almeno da Trento a noi si è resa statica, dimenticando la sua missione dinamica svolta fin ad allora…è diventata la teologia dello steccato, prevalentemente apologetica, legata a formule tabù intoccabili». In Concilio parla una decina di volte, e insiste sullo stretto legame tra primato papale e collegialità episcopale. Continui i richiami alla Bibbia come unica base dell’autentica Tradizione. Insiste sul dovere ecumenico, e sull’apertura alla modernità come libertà da accogliere o da respingere. Condanna ripetutamente ogni guerra, anche quella del Vietnam. Ovvio il malumore, e l’ostilità, anche per il risalto sulla stampa e nell’opinione pubblica. Nel 1970 la Curia romana reagisce con una Visita apostolica molto ostile che è come un primo avviso. Lucidamente se ne rende conto, e avverte in alto la volontà di chiudere i conti. Il 29 novembre 1975 rassegna le dimissioni motivandole ufficialmente con ragioni di salute. Seguono anni di silenzio, e ovviamente di sofferenza. Questa non solo per lui, ma anche per il suo successore, monsignor Ersilio Tonini, molto diverso da lui, che impiegherà parecchio tempo per sfatare l’ostilità diffusa in seguito alla vicenda. Una vittima, anzi due. Ma è certo che una Chiesa in uscita è oggi quella del Successore di Pietro, vicario del vero e unico… “Salvatore” del mondo. © riproduzione riservata
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