giovedì 25 ottobre 2018
Nelle forme di Stato di derivazione liberale, come quella italiana ancora vigente, il ruolo degli organi di informazione nella costruzione dell'opinione pubblica è sempre stato considerato decisivo, e la dialettica tra stampa (l'insieme degli organi e strumenti di informazione e comunicazione) e detentori del potere politico è normalmente intesa come strutturale alla vita democratica.
Più complesso è il rapporto tra stampa e magistratura.
L'autonomia e l'indipendenza della seconda sono un principio costituzionale irrinunciabile, un principio supremo al quale si legano altre scelte del Costituente: in primis, l'istituzione del Csm e la presidenza del medesimo affidata al Capo dello Stato, a suggello e conferma della posizione di garanzia e super partes che il presidente della Repubblica riveste nella nostra forma di governo.
L'indipendenza della stampa, la sua obiettività come requisito per una libertà dell'informazione e per un diritto all'informazione effettivi e non soltanto proclamati, sono esigenze imprescindibili della vita democratica. Pur non potendo l'ordinamento esigere, in via generale, tale indipendenza attraverso norme cogenti, ma solo garantire la libertà della stampa e degli altri media come esplicazione della più generale libertà di manifestazione del pensiero (anche in forza del possibile intreccio con la libertà di iniziativa economica), è intuitivo che la qualità della convivenza civile deve molto alla qualità e alla professionalità degli operatori della comunicazione, alla loro capacità di mettere i destinatari dell'informazione nelle condizioni di potere apprezzare i comportamenti di tutti gli attori istituzionali. Da qui l'indispensabilità di una corretta relazione tra media e magistratura, sia per consolidare la necessaria fiducia della generalità dei cittadini verso chi amministra la giustizia (in nome del popolo …), sia per sminare alla base tentazioni di protagonismo improprio dei magistrati.
Di questi temi si è discusso nella sede del Csm nell'ultimo dei “Martedì” dell'Associazione Bachelet, commentando la deliberazione del luglio scorso con cui il Consiglio ha dettato linee guida per l'organizzazione degli uffici giudiziari in tema di comunicazione istituzionale. L'esigenza che la magistratura rispetti la specificità della professione del giornalista, soprattutto in ordine alla riservatezza sulle fonti, deve combinarsi con l'esclusione di rapporti preferenziali tra un magistrato e questo o quel professionista dell'informazione: su ciò hanno convenuto i molti partecipanti, sia le introduzioni di Marco Damilano e Luigi Ferrarella, sia i numerosi interventi (Balduzzi, Ermini, Mammone, Fuzio, Canzio, Lipari, D'Ambrosio, Bruti Liberati). Insomma: tra stampa e magistratura è bene non vi siano guerre, ma neanche flirt.
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