mercoledì 26 ottobre 2022
Rileggo da un prezioso libro rilegato in pelle che un giovane amico più bibliofilo di me mi ha regalato i Ricordi di vita artistica e letteraria di Ardengo Soffici. L’edizione è del 1931, con dedica autografa «Omaggio cordiale di Ardengo Soffici», ma l’originale è del 1930 (Vallecchi). Mi sono sempre interessato ad Ardengo Soffici (1879-1964), anche per l’ossimoro del nome: «Ardengo», fuoco e fiamme, va a posarsi sul morbido «Soffici». Pittore, scultore, poeta, Soffici è protagonista nella prima metà del 900, fondatore con Giovanni Papini della rivista «Lacerba» dopo essere passato attraverso l’esperienza futurista e il contatto con gli impressionisti francesi in un lungo soggiorno parigino. Conservo parecchi articoli di Soffici pubblicati nei suoi ultimi anni sul «Corriere», dove riprende anche alcuni suoi vecchi «Ricordi di vita artistica». Fascista convinto, fu nominato Accademico d’Italia nel 1939 e sono divertenti i resoconti delle riunioni quasi goliardiche dell’Accademia, sempre in imbarazzo dell’assegnare i premi agli artisti, con succosi aneddoti come quando Pietro Mascagni accettò di presenziare a Lecce a una rappresentazione dell’Andrea Chénier in onore di Umberto Giordano, in assenza dell’autore, impossibilitato. Al termine, gli spettatori applaudirono Mascagni ritenendolo Giordano, con successive risate dei due musicisti. Soffici collaborò alla Repubblica sociale: denunciato, fu poi assolto «per insufficienza di prove» e riprese le sue collaborazioni. Il grande merito di Soffici è di essere stato il primo a far conoscere Arthur Rimbaud agli italiani con una monografia del 1909. Sul “Corriere” del 16 febbraio 1956, Soffici, in occasione dell’edizione critica dell’Opera omnia di Rimbaud, ritorna sull’argomento, spazientito per la monumentalizzazione del ragazzaccio di Charleville da parte di critici rimasti silenziosi per decenni e adesso manipolatori della fama di Rimbaud. Con il titolo Rimbaud vero, Soffici scrive: «Su questa avventura umana [di Rimbaud che a vent’anni lascia la poesia e fa dubbi affari in Africa] interessantissima, patetica se si vuole, ma in fondo semplice e naturale, si sta da più anni montando, come dicono in Francia, un bateau dei più mostruosi e grotteschi; tali che, se dura di questo passo, arriverà a far ridere anche i paracarri». E continua: «Siamo giunti ultimamente a parlare di un Rimbaud estremista cristiano, poeta dell’idealità evangelica; di un Rimbaud magico, mistico; di un Rimbaud angelo, e di un Rimbaud martire della fede e della morale. Non è detto che non si giunga a proclamarlo fondatore della religione dello Spirito e nuovo Emmanuele». Rivendicando la sua primogenitura negli studi rimbaldiani, Soffici conclude: «La sua importanza è notevolissima nel mondo delle lettere e anche in quello del pensiero, e continuiamo ad amarlo e a difenderlo contro i filistei e i mestieranti letterari». “Mais où sont les neiges d’antan?”, dove sono le nevi di una volta, rimpiangeva François Villon; traduzione (troppo) libera: «Dove sono i critici di una volta?». © riproduzione riservata
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