sabato 1 marzo 2014
Mio nonno materno era un bisnonno, in quanto mia madre, che era la sua ultimogenita, era la sedicesima figlia ed i suoi fratelli maggiori avrebbero potuto esserle genitori. Il mio nonnobisnonno era, come si diceva un tempo da noi, un "prete fallito", cioè un seminarista che aveva lasciato gli studi ecclesiastici. Era diventato fabbro e maniscalco e quando c'era un cavallo selvatico, chiamavano lui, perché era l'unico ad avere la forza per immobilizzare lo zoccolo all'animale. La domenica invece, andava nelle cascine a leggere il giornale ai contadini, quasi come un cantastorie del presente per gente che viveva di più nel passato. L'estate fu bollente ed afosa e, verso sera, il nonnobisnonno radunò il suo esercito di bambini per condurli, insieme alla moglie, a mangiare una fetta d'anguria. Allora, fuori paese, erano dislocate le anguriere: capanni nei pressi di fossi in cui le angurie erano tenute al fresco a galleggiare. Una bandiera tricolore, avendo i colori dell'anguria, era l'unica insegna esposta, chissà se anche lievemente ironica. La camminata in fila indiana, fu lunga, polverosa e non priva di fatica. Le auto, allora, non avevano ancora insidiata così confusamente la natura umana. Quando la tribù si raggomitolò intorno al capanno di rami e di frasche, fu il momento della verità. Non un solo soldo sarebbe uscito rovesciando tutte quelle vuotissime tasche. Né immagino gli occhi di quei bambini sulla strada del ritorno verso casa. Fu quella, sprovvedutezza palese del mio nonnobisnonno o una lucida esercitazione su sorella povertà?
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