mercoledì 22 febbraio 2006
L'amicizia è reciproca, implica un aiuto reciproco. Altrimenti non è più amicizia, e neanche compagnia; scade al livello puramente meccanico che è esattamente l'ideale dell'uomo di adesso" Siamo insieme perché vogliamo raggiungere il destino. Se io sono più grande di te perché ho già fatto un tratto di strada più lungo, allora tu dici: «Se io ti seguo, imparo più facilmente e con maggior certezza, perché tu hai già fatto la strada». Questa è l'obbedienza: seguire chi ti aiuta a camminare verso il destino. Un anno fa come oggi moriva a Milano don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. Lo ricordiamo in questo anniversario con una sua intensa testimonianza, dal tono quasi colloquiale, desunta dal volume "Tu" o dell'amicizia (Rizzoli 1997). Essa intreccia due realtà che, a prima vista sembrano respingersi, l'amicizia e l'obbedienza. La qualità radicale dell'essere amici è appunto la reciprocità che suppone parità: ora l'obbedienza non comporta, invece, una sorta di inferiorità rispetto all'altro che ti impone una norma? Don Giussani riesce in modo limpido a coniugare queste due virtù apparentemente in collisione tra loro. E lo fa ricordando che, pur nella sintonia, i due amici sono identità differenti, ciascuno con la sua storia, le sue esperienze, i suoi doni personali. È chiaro, allora, che proprio nella reciprocità dell'amicizia chi ha percorso più strada e ha un bagaglio più ricco di vicende e di caratteristiche deve trasmettere all'altro questo patrimonio vitale e l'altro deve accoglierlo nell'adesione dell'obbedienza. Essa non sarà segno di debolezza o di inferiorità, ma l'accoglienza di un regalo, sarà un «seguire chi ti aiuta a camminare verso il destino», cioè verso quella meta di pienezza a cui entrambi tendiamo. Anche nella Chiesa bisognerebbe saper unire l'amicizia, la fraternità, la comunione, con l'obbedienza alla guida amichevole che ti è offerta.
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