Ai prosciutti serve una strategia di lungo periodo
domenica 29 giugno 2014
L'Italia agroalimentare è fatta anche di salami e prosciutti. Anzi, una delle componenti più ricche e importanti del comparto è proprio costituita da questi prodotti, che valgono la notevole cifra di quasi 8 miliardi di euro. Eppure anche alcune delle bontà migliori del nostro universo continuano ad essere tartassate dai mercati e dalla concorrenza, mentre l'intero settore deve fare i conti con un mercato interno che continua ad essere fermo.I numeri più recenti e affidabili sulla produzione e sulle vendite di salumi nazionali sono arrivati dall'assemblea di Assica che non ha mancato di notare come il 2013 sia stato il terzo anno critico per i produttori di salumi. Alla base della situazione, stando all'analisi dei produttori, «la stagnazione dei consumi e la scarsa fiducia delle famiglie nel futuro». E non solo, perché le imprese hanno segnalato anche gli alti costi della materia prima e il rallentamento degli scambi che hanno ulteriormente indebolito il settore.A conti fatti dunque la produzione di salumi, dopo un 2012 difficile, ha registrato nel 2013 una lieve flessione, scendendo a 1,179 milioni di tonnellate dalle 1,197 milioni dei dodici mesi precedenti (-1,5%). Sulla scia della produzione anche il fatturato ha registrato un cedimento, scendendo a 7.943 milioni di euro (-0,5%). Un andamento che rispecchia il contenuto aumento dei prezzi.A poco serve, secondo i produttori, il buon andamento dell'export perché la maggior preoccupazione è data dall'erosione dei margini di produttività. Da tutto questo, l'allarme. «Appare evidente che la crisi ha compresso i margini della filiera in maniera non sostenibile nel medio periodo. L'aumento abnorme della pressione promozionale è apparsa una soluzione efficace per sostenere i consumi. Tuttavia deve essere chiaro a tutti che non può diventare la normalità, pena il fallimento delle imprese sia di produzione (macelli, trasformatori) sia di distribuzione» ha spiegato Lisa Ferrarini, presidente di Assica. In altre parole, le imprese del comparto - alcune delle quali di livello internazionale - rischiano grosso. Anche perché, sempre secondo Ferrarini «manca una strategia di lungo periodo che, attraverso un adeguato stanziamento di risorse e professionalità, assicuri che gli accordi raggiunti in ambito comunitario o nazionale si concretizzino in aperture effettive per tutte le aziende del comparto e per tutti i prodotti. Troppo spesso assistiamo infatti all'imposizione, da parte dei Paesi terzi, di vincoli burocratici che di fatto svuotano gli accordi di apertura dei mercati, rendendo impossibile o economicamente insostenibili le esportazioni».Ma a questo punto che fare? Per Assica la ricetta è la solita: meno burocrazia, energia a prezzi più contenuti, più flessibilità nel mercato del lavoro.
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