L'ultimo, in ordine di tempo, è stato Bradley Marc Wiggins, ex ciclista su strada e pistard. Non esattamente un ciclista qualunque, bensì un atleta capace di vincere nel 2012 il Tour de France e, nel corso della sua carriera, otto medaglie olimpiche (di cui cinque d'oro) e sei titoli mondiali tra strada e pista.
Questo campione nato a Gand, ma di nazionalità britannica e fregiato del titolo di "Sir" come tutti gli sportivi inglesi di eccellenza, a quarantadue anni e con una carriera alle spalle ha deciso di alleggerire l'anima, raccontando una storia di molestie sessuali da parte del suo allenatore quando aveva tredici anni. «Ho tentato di seppellire tutto», ha dichiarato in un'intervista rilasciata alla rivista "Men's Health UK".
L'ultimo caso denunciato, come dicevo all'inizio, perché purtroppo la storia dello sport ha visto venire alla luce casi simili, grazie ad atlete e atleti che hanno avuto la forza di denunciare, ma chissà quanti sono i casi rimasti "sepolti" come dice Wiggins. Impossibile non pensare al caso di Larry Nassar, osteopata della nazionale statunitense di ginnastica artistica dal 1996 al 2017, condannato a un totale di 176 anni di reclusione per aver abusato di oltre cinquecento atlete durante le sue sedute. Il caso Nassar fu un vero e proprio tsunami, capace di far emergere casi simili (molestie, body-shaming, abusi fisici e psicologici) in Gran Bretagna, in Germania, in Olanda, in Grecia, in Canada, in Australia.
Purtroppo il nostro Paese non è esente da queste mostruosità. Nel febbraio del 2021 Daniela Simonetti, giornalista dell'Ansa, ha pubblicato un libro dal titolo "Impunità di gregge" dove appare evidente che la violenza sessuale, gli abusi, le molestie sono una cruda realtà dello sport in Italia come all'estero; ma incredibilmente nessuna Federazione di casa nostra prevede l'obbligo di radiazione per chi commette abusi e violenze. Daniela Simonetti in questo libro-inchiesta, sostiene che le regole sembrino «tollerare e coprire» le violenze sui tesserati da parte di altri tesserati – dal bullismo alla pedofilia – che pure sono diffusissime e documentate.
«I numeri ufficiali (limitati agli illeciti sportivi o penali che riescono a bucare il muro dell'omertà) parlano di ottantasei casi censiti dalla Procura generale del Coni dal 2014 al 2019 e di oltre venti processi all'anno avviati dalla magistratura ordinaria (che si concludono regolarmente con pene detentive dai tre ai sei anni) a carico di tecnici tesserati. I quali però continuano il "lavoro" di prima come se nulla fosse accaduto, essendo esentati dall'obbligo di presentare il certificato penale».
La sensazione che ciò che emerge sia solo una piccola parte del tutto è terribile. Come è terribile pensare che, grazie allo sport, adulti riescano a conquistarsi la fiducia di piccoli atleti e atlete, con questo mostruoso scopo. E possano continuare a farlo, anche dopo una condanna. Tutto ciò non è più tollerabile e non sono più rimandabili due proposte: le Federazioni cambino i loro regolamenti rispetto alle modalità di tesseramento di allenatori e dirigenti, inserendo l'obbligo della presentazione del certificato penale e il Coni si costituisca parte civile nei processi penali relativi a questo terrificante ambito.
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