giovedì 8 giugno 2023
Domenica scorsa, nello Stretto di Taiwan. Navi militari americane e canadesi di ronda a garantire la libertà di navigazione nello Stretto. A bordo di una fregata l’inviato di un quotidiano canadese riprende ciò che accade. Una nave militare cinese taglia la rotta a un cacciatorpediniere militare Usa, la Uss Chong-Hoon. Il cacciatorpediniere in questione è un arnese lungo 155 metri, pesante 9.200 tonnellate, irto come un porcospino di cannoni, missili e siluri, che fila maestoso in acque, secondo gli Usa, internazionali. In acque già della Repubblica Popolare Cinese, sostiene invece la Cina. Fatto sta che nel video si assiste all’avanzare da sparviero della prua del cacciatorpediniere Usa, sopra a un mare calmo e livido, sotto a un cielo grigio. La nave cinese, più piccola, volutamente taglia il percorso della Uss Chong-Hoon. La collisione sembra inevitabile, mentre i cinesi via radio intimano agli americani di fermarsi. Per lunghi secondi pare che nessuno dei due contendenti voglia darla vinta all’avversario. 500 metri, 300, 200 di distanza fra le due navi. A 100 metri la Uss Chong-Hoon finalmente rallenta: la nave cinese scivola via intatta. Non è successo. Per un soffio. Poche ore dopo il ministro cinese della Difesa dichiara che una guerra fra Usa e Cina sarebbe “unbearable”, insostenibile, per il mondo intero. Sulla divisa grigioverde luccicano decine di mostrine, sulle spalle le stellette. Non è minaccioso il generale, ma come gravato dal peso dell’avvertimento che lancia. Quella sfida lontana, nello Stretto di Taiwan. La nave cinese di traverso al colosso Usa. Chi dovrà cedere? Giocano. Come bambini, negli ultimi banchi delle scuole di una volta: “E12?” Il compagno, fissando il foglio a quadretti con gli incrociatori e la corazzata: “Niente”. L’altro, a bassa voce: “D12?”. L’amico, dispiaciuto: “Colpito”. D11, D10. “D9?”: “Colpito e affondato”, si arrendeva uno, mentre l’altro esultava. Giocano ancora, ma corazzate e incrociatori sono
veri, titani di acciaio con vertiginose antenne su cui oscillano i radar, e, dentro, centinaia di uomini: ragazzi, spesso, Marines, e cinesi di vent’anni chiusi dentro a quelle spaventevoli corazze. Non è successo. La scia spumeggiante sull’acqua della nave cinese si allontana. In una collisione sarebbe stata distrutta. Chissà, a bordo, i cuori dei manovratori, nel locale macchine, i cuori dei mozzi appena imbarcati, magari reclutati da remote regioni interne, mai visto il mare prima d’ora. Chissà l’accelerare di quei cuori nei petti, sotto l’uniforme. Avranno pensato, come accade in certi istanti, alla madre? Quante madri lontane e in apprensione, dietro a centinaia di ragazzi a bordo di quelle navi, l’altro giorno, nello Stretto di Taiwan. Un incidente così potrebbe rischiare di essere una scintilla. (Gli Usa entrarono nella Prima Guerra Mondiale quando i tedeschi affondarono – dopo numerose altre navi civili, come il transatlantico Lusitania e l’Atlantic - il cargo Vigilantia. Batteva bandiera americana. Morirono tutti, sul Vigilantia, il 19 marzo del 1917, colpiti da un U Boot tedesco. Il 6 aprile gli Usa scesero in guerra). E giocano, ancora. In acque lontane, dall’altra parte del mondo. Tanto lontane che noi domenica, magari in gita mare, distrattamente abbiamo sentito alla radio di un mancato incidente internazionale nello Stretto di Taiwan. Poi, finito il notiziario, dalla radio è partito Vasco Rossi. Una domenica come le altre. Si sta come sul ponte del Titanic, nell’onda della musica dall’orchestra. Ignari – qui, sembra tutto come prima - oppure consapevoli e impotenti. Alcuni pregano. Pregare bisogna, ora, non solo per chi si ama, ma per tutti. Sembra un inconsistente nulla la preghiera, davanti alle tonnellate di acciaio di un cacciatorpediniere. Che tuttavia l’altro giorno all’ultimo, impercettibilmente, all’ultimo istante, ha rallentato. © riproduzione riservata
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