martedì 5 agosto 2014
Si conclude oggi la mia rubrica «Laelius». È bene che le voci si alternino di anno in anno, cosicché i lettori di Avvenire si rendano meglio conto dell'estrema duttilità del latino per esprimere un'infinita gamma di temi e stili personali.Fin dalle prime settimane del lontano settembre 2013 mi sono ispirato al criterio della varietas. Ho lasciato spazio ad argomenti di attualità, iniziando col disastroso naufragio di profughi presso Lampedusa. Più o meno nello stesso periodo ho espresso pensieri del papa Francesco sull'amore e di Carlo Maria Martini sulle piccole cose nelle quali chi è di cuore puro ode la voce di Dio.Un altro filone che mi ha ispirato è quello dei miti greco-latini i cui protagonisti sembrano capostipiti di tipi umani dei giorni nostri: Filottete, abbandonato dai Greci in un'isola deserta perché malato, mi ha suggerito pensieri sulla solitudine dei malati in ogni tempo. Sisifo che trascina vanamente un macigno su per un'erta di monte mi è servito per trattare della noia di vivere di chi ripete senza successo le stesse azioni frustranti. Narciso mi è sembrato il capostipite ditanti che oggi, pur senza meriti, hanno il culto di sé e si amano nei selfie.Talora ho parlato di mie esperienze che mi pareva potessero essere di qualche interesse almeno per i miei coetanei: così ho detto della mia esperienza di nonno indialogo con Caterina; ho tradotto i testi di canzoni che facevano parte dei miei ricordi di ventenne (canzoni dei Beatles: Let it be; Eleanor Rigby); oppure film amatissimi (Bergman, Il settimo sigillo). In occasione del Natale dello scorso anno ho tradotto l'omonimo inno sacro manzoniano. Ho talvolta preso spunto da etimologie latine particolarmente istruttive anche per comprendere concetti moderni (lux, cultus). Spesso ho espresso in latino pagine di filosofia morale di Aristotele, Epicuro, Plutarco, Marco Aurelio, Epitteto e così via. Infine ho trattato di usi e costumi della vita quotidiana dei latini: manifesti elettorali pompeiani; usi funerari.Grazie ai lettori di Avvenire, specie a quelli (presumibilmente pochi) che si sono soffermati un istante sulle mie parole. Credere nel latino oggi è credere nella rinascita del passato in generale: anche secondo Orazio «multa renascentur quae iam cecidere».
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