sabato 12 settembre 2009
Forse perché oggi, dove mi trovo, il tempo è grigio. Forse perché i caprioli che ogni mattina facevano una passeggiata saltellando lievi tra l'erba fresca fino a trovare l'acqua del torrente, non si fanno più vedere. Forse per questa aria lievemente autunnale dopo i gloriosi e caldi mesi d'estate, mi viene in mente di andare a trovare una cara amica che, pur non essendo troppo avanti con gli anni, ha dovuto ritirarsi in una casa di riposo. Che strano nome abbiamo dato a questi luoghi dove mano a mano che passa il tempo inviamo i nostri cari a passare i loro ultimi anni! La necessità di seguire i loro giorni faticosi verso un naturale e graduale abbandono delle proprie facoltà mentali o fisiche non è più possibile sia supportata dalle famiglie se non a costo di enormi sacrifici. Poi gli spazi delle case di oggi sono talmente ristretti che impediscono qualsiasi privacy degli altri membri. E allora, quando si è fortunati si trova quel luogo di riposo per i nostri anziani e si delega ad altri ciò che anticamente la famiglia patriarcale offriva dentro le proprie mura. Anche allora però c'era qualcuno che rinunciava al proprio tempo più di altri per l'anziano. Per l'ammalato. La cosa ci parrebbe più giusta, ma dimentichiamo la fatica psicologica e materiale di chi si prendeva questo compito. Si chiamano case di riposo, ma chi vi abita non vuole riposare, ma essere tenuto in ordine, aiutato, accarezzato e anche amato per quello che è adesso. Non per la vita o le possibilità offerte a chi dipendeva da lui quando il suo lavoro era necessario e importante. Non per i riconoscimenti ricevuti o la propria posizione nella società e neppure per il numero degli amici che era stato capace di avere attorno. Egli vuole essere amato per quello che è oggi: con la difficoltà di parola o con l'impossibilità di camminare, per le sue ore di malinconia. Per il racconto dei suoi ricordi. Tutto questo non è un riposo, un annullamento di se stesso, ma una nuova vita con le sue esperienze, con la sua scoperta di trovarsi tra uguali a qualunque ceto sociale prima si appartenesse. Un'esistenza diversa, ma che concede anche la possibilità di essere ancora di aiuto a chi sta peggio, che fa scoprire l'umiltà cosciente di saper accettare il soccorso di chi lo offre, mentre il raccontarsi " se si trova chi ascolta " rivela ricchezze d'animo tenute nascoste dalla pigrizia, dalla reticenza, dalla timidezza. È un mondo che può far scoprire cosa è la bontà, l'attenzione sincera di chi sa ascoltare, di chi ti passa vicino con un andare giovane, ma che non dimentica una carezza e un sorriso. Sembra poco quando lo si descrive, ma è invece ciò che si è cercato, al di là di quel cancello, al di là di quel giardino, tutti i giorni della nostra vita. È l'amore delle piccole cose che non fa parte delle giornate piene di fretta, delle ore cariche di tensione dove ogni cosa ci spinge a dimenticare quegli atti di cortesia che regalano momenti di pace. Non è forte chi urla ma chi sa, quando vuole, anche tacere. Ho chiuso il cancello e lasciato il giardino mentre la mia vecchia amica mi salutava seduta nella sua carrozzina. Credevo di venire a compiangere il suo stato e a fare un atto di cortesia. Era lei che mi restituiva al mondo dei nostri affanni con un nuovo senso di pace.
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