sabato 25 gennaio 2020
Lei, quando aveva la nostra età, come immaginava il futuro? Voi, figli del '68, volevate "uccidere" qualunque guida e autorità: il padre, il professore, il prete, il padrone, il fratello maggiore; noi, al contrario, li cerchiamo, ma dove trovarli? Come facciamo a non avere paura, soprattutto a non avere paura della paura? Perché ci parlate sempre di voi e ci dite quello che dobbiamo fare, e vi dimenticate del nostro punto di vista, di chiederci di noi? La nostra convinzione e rassegnazione di non poter cambiare il mondo è una reale forma di impotenza o non nasconde piuttosto una forma di comodità e di immaturità? Di fronte a queste domande dolenti e spietate dei nostri giovani, identiche e reiterate in ogni latitudine del Paese, è difficile non sentirsi chiamati in causa: noi "protetti" dal passato e dal futuro, loro "sprotetti" e inchiodati al presente. Sono a dirci che stiamo consegnando loro un mondo complicato e inospitale, e a testimoniare che le antenne e cicatrici interiori li rendono più sensibili, più nobili, più veri di noi. Loro sono lo specchio della nostra identità, il bilancio della nostra vita. Benvenuto quel giorno in cui di un ragazzo e di una ragazza non si dirà più «è tutto suo padre, tutto sua madre», ma di un padre e di una madre diremo: «è tutto suo figlio, tutta sua figlia».
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