giovedì 26 aprile 2018
Nelle rievocazioni della Resistenza che, assai opportunamente e con partecipazione significativa di cittadini, ieri si sono svolte in tante città e paesi italiani, è probabilmente rimasto sullo sfondo l'apporto di essa alle nuove idee in tema di giustizia e di ordinamento giudiziario che sarebbero state dibattute in Assemblea costituente. Ed è comprensibile che sia così, in quanto il contributo del fenomeno resistenziale e dei suoi uomini e donne, nella loro coralità, è stato sicuramente maggiore sui temi della nuova statualità, del carattere sociale e autonomistico della Repubblica, del nesso tra diritti fondamentali e doveri inderogabili. Nelle costituzioni delle Repubbliche partigiane, nei documenti del Comitato di liberazione nazionale e negli altri eventi e contributi riconducibili a quel periodo, l'attenzione al potere giudiziario è stata normalmente valutata dagli studiosi come marginale.
Sarebbe tuttavia errato dimenticare che il consenso largo che si avvertì, sin dalle prime occasioni del dibattito costituente, attorno ad alcuni punti forti (indipendenza "esterna" della magistratura dal potere esecutivo, rafforzamento deciso del Consiglio superiore della magistratura) sia stato reso possibile anche da fatti accaduti nel periodo tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. In primo luogo, la partecipazione, come singoli e come associati, di molti magistrati alla lotta contro il nazifascismo (un recente lavoro di Antonella Meniconi ritorna opportunamente su questo tema) e, in secondo luogo, la circostanza che tale partecipazione abbia coinvolto soprattutto appartenenti alla magistratura ordinaria, così da rafforzare il principio di unità della giurisdizione che, sia pure non accolto integralmente nel lavoro dei costituenti, avrebbe poi ispirato le regole sull'indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri di tutte le magistrature (e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia). Al di là di questo, i valori stessi insiti nella scelta della "resistenza" portavano a valorizzare l'indipendenza esterna dei magistrati e, in prospettiva, anche quella interna (nel senso di un'organizzazione in cui faccia premio il criterio del coordinamento funzionale su quello della gerarchia: art. 107, comma 3, Cost.). In fondo, la capacita di "resistenza" si attaglia al magistrato come e forse più che ad altri soggetti investiti di pubbliche funzioni, e vale per i tempi "eroici" come per quelli ordinari.
Riflettevo su queste cose sostando nella camera ardente dove giaceva, martedì scorso, il corpo del professor Giovanni Galloni: una persona che, nell'esercizio delle alte funzioni istituzionali che gli vennero affidate (ministro, vicepresidente del Csm), riuscì a resistere con coraggio anche rispetto a tensioni drammatiche: per lui, davvero, la "resistenza" fu anche e soprattutto una categoria dello spirito.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI