domenica 28 febbraio 2010
Una volta noi cattolici cantavamo "Inni e canti sciogliamo", e forse il popolo semplice lo canta ancora, magari compatito dagli chic più o meno radicali. Ora "inni e canti" li cantano anche loro, e in questo tempo li indirizzano a Emma Bonino. Lei, dopo essersi imposta a un Pd disorientato come capolista nel Lazio, ha vistosamente praticato ancora una volta il rito consueto del digiuno della sete e della fame, circonfuso dall'aureola del Mahatma e senza cattivi pensieri su altri digiuni magari inflitti l'anno scorso a chi non poteva dire "no". Bonino ha digiunato in nome del ripristino di «legalità per tutti» e poi pur senza averlo davvero ottenuto, ma supplicata da tanti devoti ha acconsentito a smettere. «Legalità», ma con una cascata di parole ambigue. Già da ieri ("Repubblica", p. 19) si sprecavano i «Grazie, Emma!» e le suppliche e gli applausi con illustri firme di tanti che " detto sottovoce " già ai tempi della strage di piazza Fontana, dell'omicidio Calabresi e delle dimissioni di Giovanni Leone firmarono appelli poi riconosciuti non esemplari. Unica eccezione, a parte qualche obiezione "cattolica" doc, finora venerdì sul "Foglio" (p.2) ove Giuliano Zincone ironizza sottile sul rito ormai logoro e divenuto formula di furba prepotenza mascherata di vittimismo. Il colmo esplicito però ieri a "Radio Radicale", con accusa: «Bonino per essere candidata alla Regione Lazio deve cessare di essere radicale». No: per essere votata da chi è coscientemente cattolico dovrebbe cessare di essere radicale. Lo è, lo resta, ed è candidata dal centrosinistra alla Regione Lazio. L'accusa quindi è anche un falso"
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