Finché un cuore batterà il battito dell’Amore vero
Dal tocco mancato della Sistina alla crisi dell’io contemporaneo, solo il ritorno all’Amore come relazione che trascende il sé può ridare verità, dignità e futuro all’Umanità

Sulla volta della Sistina, le dita di Dio e di Adamo non si toccano. Restano sospese, separate da un appena. Quell’intervallo è lo spazio dell’Amore. Dal non essere all’essere. Lì si compie il mistero dell’Umanità. La nostalgia di un’unione necessaria che nessuna civiltà ha mai saputo colmare. Dall’Amore è la vita. È amando che l’incompiuto conquista la sua forma perfetta. Perché l’Amore – come racconta Platone, nel Simposio – nacque da due opposti: Penìa (la privazione) e Pòros (la risorsa). Eterno dinamismo tra consapevolezza della mancanza e desiderio della pienezza. Amare è riconoscere la propria incompiutezza. «L’amore esprime in generale la coscienza della mia unità con l’altro, per cui io, per me, non sono un isolato, ma la mia autocoscienza si afferma solo come rinuncia al mio essere per sé e come unità di me con l’altro» scriveva Hegel in “Filosofia del diritto”.
In verità, con sfumature e prospettive diverse, tutta la tradizione filosofica occidentale – da Platone in poi, passando per Aristotele, Agostino, Tommaso, Leibnitz, Maritain e molti altri – concepisce l’Amore come un cammino verso ciò che ci trascende. Movimento dall’imperfetto al perfetto, dall’io al noi. Tensione verso l’altro da sé. Che è parte di sé. E di cui il sé è parte. È questa la missione più difficile per un Uomo: dare verità piena, perfetta alla propria verità incompleta, inadeguata e spesso falsa. Continua ricerca di un’unità perduta. Tra Creatura e Creatura. Tra Creatura e Creatore. Tra Creatura, Creato e Creatore. «Amor est Laetitia concomitante idea causae externae» ci ricorda Spinoza nell’”Ethica”.
La modernità ha spezzato questo orizzonte. Nel mondo contemporaneo, l’Amore non è più “proiezione verso” ma “specchio di sé”. Tutte le “conquiste” della civiltà recente sembrano inscriversi nella cornice di questo mutamento antropologico. È il trionfo dell’individuo e dell’individualismo. Dell’avere sull’essere. Del solipsismo sul personalismo. Dell’idealismo soggettivo sull’intersoggettivismo relazionale. L’approccio corrente – alla politica, all’economia, alla tecnologia, alla socialità, ai diritti civili – testimonia la crisi dell’Amore come fondamento del vivere. L’egoismo è il nuovo linguaggio. L’autoreferenzialità la sua sintassi. Ogni desiderio è divenuto principio di verità. Ogni fantasia, diritto giuridico e morale. Ogni ambizione particolare, misura cui piegare l’universale. Abbiamo confuso libertà con indipendenza, relazione con dominio. Molti pensatori del Novecento – da Fromm a Bauman, da Arendt a Morin – hanno descritto questa condizione come una crisi dell’amore sociale. E non solo.
Quando si chiude in sé, la persona si isola dal suo stesso significato. La vita stessa perde la sua sacralità. Quella di ogni specie vivente, quella di ogni nuova creatura nel grembo di una mamma, quella di un malato chiamato a vivere il mistero della propria sofferenza, quella dei fratelli che muoiono di fame nell’indifferenza degli empi, quella di ogni persona che ci vive accanto, quella di noi stessi chiamati a compierci secondo verità. Senza l’Amore, tutto è considerato come impedimento all’affermazione smisurata del proprio ego. La libertà diventa monologo. L’identità dogma.
Non è azzardato affermare che i grandi mali che affliggono la nostra società derivano dall’incapacità di amare. Senza Amore tutto muore. I Padri della Chiesa, i Santi ed i Martiri, ci insegnano che la vita è offerta di sé. Che non cè offerta senza Amore. Che non si può amare l’Uomo senza amare Dio. E che non si può amare Dio senza amare l’Uomo. Le due dimensioni procedono insieme. E sono dono (e frutto) dello Spirito Santo. Senza il Suo soffio vitale, siamo destinati ad amare di un amore illusorio, ingannevole ed escludente. Incapace di durare, incapace di donare, incapace di creare. È l’amore senza Amore. Che genera l’uomo senza l’Uomo. E attesta l’idea di un dio senza Dio.
Quando il vero Amore finisce, tutto finisce. Non si tratta di sentimentalismo o di moralismo. In ogni esasperato individualismo (reale o apparente) si nasconde una questione antropologica, decisiva e strutturale. Senza la capacità di riconoscere l’altro come parte del proprio destino, muore l’Umano. «Io divento Io nel Tu», diceva Lévinas. La società contemporanea sembra procedere in direzione ostinata e contraria. L’evoluzione legislativa è chiamata a confrontarsi con questioni cruciali: aborto, eutanasia, identità di genere, famiglia, bioetica, accelerazione tecnologica, umanità aumentata, sostenibilità ambientale, demografica e sociale, pluralismo. Ognuno di questi argomenti ha a che fare con la nostra disponibilità di amare. Facendoci dono. Accogliendo tutto come dono. Anche il dolore. All’intersezione tra diritti non negoziabili, diritti sociali, diritti ambientali, diritti civili e diritti individuali, si intravede una sola soluzione possibile: riscoprirci capaci di amare di un Amore vero. Senza Amore, l’Umanità si inaridisce. Senza Amore non c’è Verità. Senza Verità non c’è Amore. Quando una civiltà perde la grammatica dell’Amore, anche la sua razionalità vacilla. Nasce l’uomo artificiale. Tecnicamente perfetto, moralmente indifferente. Tecnologicamente onnipotente, esistenzialmente solo. Un essere che misura la felicità in utilità, non in legami; in guadagno, non in coscienza. Un uomo che parla di diritti ma dimentica i doveri, che proclama la libertà ma teme la reciprocità. Un uomo che dimentica di essere Creatura. Un Uomo che non sa più riconoscere la propria verità costitutiva. Un uomo disincarnato, sradicato, autarchico. Un uomo in-creato. È come se il progresso avesse moltiplicato le sue possibilità e, allo stesso tempo, annullato la sua capacità di riconoscersi. Le rivoluzioni – politiche, etiche, linguistiche – di cui si è reso protagonista, rischiano di sancire non la sua emancipazione, ma la sua autodistruzione. È la fabbrica dell’uomo senza l’Uomo, dell’uomo contro l’Uomo. È il laboratorio della società senza socialità. È la perdita del principio relazionale che tiene insieme l’Essere Umano ed ogni suo Simile, l’Uomo e la Natura, la Creatura e il Mistero.
È questa, forse, la grande stoltezza dell’Uomo contemporaneo: pensarsi da se stesso. Pensarsi fine a se stesso. Pensarsi sufficiente a se stesso. Credersi autore di se stesso. Negando così il principio primo ed il fine ultimo della sua vita. Che non è in se stesso. È in ciò che lo trascende. E solo in esso può realizzarsi.
Viviamo in un tempo che ha fatto dell’autosufficienza una religione. Ma la Storia ci insegna che l’Umanità non è fatta degli autosufficienti. La maggioranza dell’Umanità è fatta di persone considerate non umanità dagli autosufficienti. Sono i fragili, gli emarginati, gli ultimi, i dimenticati. Sono loro i custodi della vera Umanità. I non amati che non smettono mai di amare. Per ricordarci che la vera Umanità è sopra e prima di ogni condizione sociale, politica, religiosa. È prima e dopo tutti gli autosufficienti della Storia. Muoiono le socialità, resta l’Umanità. Muoiono le politiche, resta l’Umanità. Muoiono le forme religiose, resta l’Umanità. Muoiono le ideologie, resta l’Umanità. Muoiono gli imperi e le civiltà, resta l’Umanità. Tutto muore, l’Umanità attraversa i secoli. In filigrana. In silenzio. Perché la vera Umanità sempre è custodita e conservata vera Umanità dal suo Creatore e Signore. La vera Umanità mai è morta e mai morirà: sempre sarà risuscitata dalle sue macerie.
Fino a quando? Fino alla fine dei tempi. Finché sulla terra ci sarà anche un solo cuore capace di battere il battito dell’Amore vero. Un cuore di Armonauta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






