Nuove luci sulla Istanbul cosmopolita di Akin

Levano Akin Crossing Istanbul (Svezia/Danimarca/Francia /Turchia/Georgia). 105 minuti
November 5, 2025
Un appartamento con stanze disposte a raggiera, porte e finestre spalancate, stanze comunicanti: è questo il primo fotogramma di Crossing Istanbul, ambientazione iniziale iconica di un film tutto ispirato alla dimensione dell’apertura. Apertura nel significato di commistione di mondi - la Turchia e la vicina Georgia, i giovani e i meno giovani, i generi sessuali - , ma anche apertura come dialogo, ricchezza di una babele di lingue la cui vitalità è intrinseca ai crocevia di culture. In una Istanbul dai chiaroscuri che sprigionano energia, tra locali affollati, cibi, danze, gatti affettuosi, ecco dalla vicina Georgia arrivare una donna matura accompagnata da un impetuoso e sprovveduto ragazzo. La donna (la intensa Mzia Arbauli), dal viso solcato di rughe che dicono esperienza, amarezza, dominio del cuore, è un’insegnante in pensione; il ragazzo, un fanfarone dal cuore buono. Sono alla ricerca della nipote di lei, scomparsa da tempo, ma la loro ricerca si fa rocambolesca e emblematica d’altro.
Come fosse un “road movie”, sono tanti gli incontri e il progressivo, reciproco conoscersi dei due viaggiatori. Fattore comune a ogni tappa del loro periplo, di nuovo l’apertura, qui intesa come potenza vitale (e culturale) di una visione su persone definite dalle intersezioni tra i cammini. Il regista Levan Akin, svedese di origini georgiane, omaggia con questa pellicola il cosmopolitismo della sua biografia, la forza propulsiva di una curiosità capace di trascendere l’intreccio della trama. Con bravura il suo occhio si sposta glissando dal punto di vista di un personaggio a un altro, secondo una sorta di “soggettiva collettiva” che sa sussumere in sé più mondi e più concezioni. Viaggiatori su traghetti e autobus, bambini suonatori ambulanti, avventori, poliziotti, tutti sono raccontati con vividezza, in un mosaico dove ogni microstoria si fa collettiva, e a un ritmo che è il ritmo di un “vero” viaggio. Apertura, di nuovo. Perché se viaggi sul serio ti apri, lasciandoti alle spalle le intenzioni e i propositi inziali e cedendo alla curiosità di quel che incontri. Ogni figura di questa storia non certo allegra, ma narrata con freschezza, questo racconta. Ognuno scopre un diverso sé stesso grazie agli altri.
Nel mentre il mescolarsi di lingue, abitudini, scelte di identità sessuali, tratteggia sì un mondo rutilante e in grande trasformazione, ma su cui gettano luce nuova occasionali solidarietà di amicizie brevi eppure decisive. Nuove luci, anche, su una Istanbul restituita con lo sguardo innamorato di chi ha saputo trasformare sradicamento e nostalgia in vocazione. Apertura è anche questo: affidarsi al presente, e persino al domani. Come quando Lia, la protagonista, lascia per un momento l’ansia per le sorti della nipote e si mette a danzare, ancora maliziosa e seducente malgrado l’avanzare degli anni.

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