Il “Frankenstein” di Del Toro, La tenerezza della mostruosità

Nel Frankenstein di Del Toro conta meno lo spettacolo che il Mostro di Jacob Elordi: fragile, commovente, politicamente attuale, cuore del film
October 29, 2025
Il “Frankenstein” di Del Toro, La tenerezza della mostruosità
Distribuito per qualche giorno in poche sale italiane prima di approdare sulla piattaforma Netflix il prossimo 7 novembre (scelta opaca, che segna e orienta una triste subordinazione del fare cinema alle ragioni del mercato), il Frankenstein di Guillermo del Toro affronta una volta di più la vicenda di quello che è forse il libro più rappresentato sugli schermi. Raggiungono quasi la trentina le pellicole ispirate all’omonimo magnifico (e magnificamente immaginifico) romanzo scritto da Mary Shelley nel 1818 (con decisiva riedizione nel 1831). Qui, in quest’ultima ritraduzione cinematografica, a colpire e piacere non è tanto l’elemento spettacolare: non le parti di corpo umano sanguinolente e ancora palpitanti che Victor Frankenstein disseziona, taglia e assembla, non le scene apocalittiche dell’incendio che lo stesso Victor appicca al castello dove in segreto ha condotto il suo sciagurato esperimento. No, quel che resta negli occhi – e se pure minimamente, anche nel cuore – non riguarda cotanto apparato scenografico sensazionalistico e dai costi milionari. Memorabile e “nuovo” è invece il Mostro, la creatura frutto delle deliranti e fallimentari intenzioni del Prometeo/ Frankenstein.
Dieci ore al giorno di trucco (così da rendere credibile la sua trasformazione fisica, a tante l’interprete, l’attore australiano Jacob Elordi, ha raccontato di essere stato sottoposto durante le riprese del film) sortiscono invero un risultato stupefacente. Un effetto straniante, e che è al tempo stesso il più fedele a quella che fu la visione di Mary Shelley. Perché pur nella sua bruttezza e abnormità fisica, questo Mostro di Del Toro non respinge, non è raccapricciante. Piuttosto è stranissima e mastodontica creatura, vibrante, fragile, ferita: qualcuno la cui anomalia, anziché inorridire, commuove. Il magnetismo di Jacob Elordi lo rende Mostro credibile, e la corrispettiva lettura psicologica delle sue complesse caratteristiche e movenze risulta centrale nella regia di Del Toro.
Nel coglierne la vulnerabilità, la problematica di figlio rinnegato da un padre a propria vota dilaniato e sconnesso, il personaggio del film invera buona parte della prospettiva di Mary Shelley, la quale (la sottoscritta ne discettò in un libro del 2018 dal titolo Pura invenzione) sulla Creatura proiettò parte della sua stessa fragilità di figlia. Il Mostro di Frankenstein chiede riconoscimento, spazio e nome alla propria imperfezione, facendosi simbolo di un essere che con grazia chiede di venire accolto, visto. Rivendicazione tutta contemporanea: ed è proprio l’implicita portata politica del romanzo a renderlo notevole a dispetto di ogni altra sua intenzione, commerciale e spettacolare. Victor Frankenstein e l’amata Elizabeth, impersonati da Oscar Isaac e Mia Goth, sbiadiscono a fronte della bravura e del carisma del Mostro Elordi, per nulla bruttissimo.

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