Una correzione virtuosa per il “monocameralismo” di fatto
È appena iniziata ma possiamo immaginare come andrà a finire: la sessione di bilancio, che quest’anno parte dal Senato, facilmente finirà con un voto di fiducia. Il trend che dimezza il ruolo del Parlamento, e una stortura che si verifica da varie legislature, con governi di diversi colori. Come correggerla?

Giovedì 30 ottobre è iniziata ufficialmente la sessione di bilancio, il momento più forte del calendario del Parlamento, chiamato nella circostanza ad approvare gli atti politicamente ed economicamente più rilevanti dell’attività di governo, a cominciare dalla stessa legge di bilancio. Quest’anno si comincia dal Senato per una sorta di alternanza con l’altro ramo del Parlamento. Con la sincera speranza di essere smentiti, possiamo fin d’ora prevedere che alla Camera rimarrà soltanto il tempo per approvare a scatola chiusa il testo uscito da Palazzo Madama, magari accorpato in un unico maxi-emendamento su cui l’esecutivo avrà posto la questione di fiducia oppure – com’è accaduto lo scorso anno – in cinque mini-maxiemdamenti (le cronache di allora li hanno definiti così). La scadenza del 31 dicembre dev’essere assolutamente rispettata se si vuole evitare l’esercizio provvisorio, incubo di tutti i governi.
Ripetiamo: speriamo di essere smentiti, ma l’esperienza degli ultimi anni (quindi con diverse maggioranze politiche e governi di varia natura) non lascia molti margini. Del resto proprio pochi giorni fa, sempre al Senato, un altro provvedimento di grande rilievo soprattutto per le connessioni con Ue e Pnrr e anch’esso con scadenza vincolante – si tratta della legge annuale per il mercato e la concorrenza – è stato approvato con lo stesso sistema: l’intero testo del ddl è stato accorpato in un unico emendamento su cui il governo ha messo la fiducia, blindando il voto finale. La Costituzione, all’articolo 72, stabilisce che i disegni di legge debbano essere approvati «articolo per articolo». Qui siamo evidentemente alla caricatura del procedimento legislativo previsto dalla Carta. Lo stesso fenomeno, peraltro, si ripresenta in relazione ai decreti-legge, che dovrebbero essere il modo in cui il Governo legifera in casi straordinari di necessità e di urgenza e sono invece diventati uno strumento diffuso, così che la loro conversione in legge entro sessanta giorni assorbe buona parte dell’attività delle Camere. Con l’aggravante che tale conversione avviene senza che entrambi i rami del Parlamento abbiano avuto la possibilità materiale di esaminare e discutere nel merito il testo adottato dal Consiglio dei ministri.
Il fenomeno in questione è ormai così radicato da aver ricevuto anche una codificazione terminologica. Si parla da tempo (lo abbiamo fatto anche in questa rubrica) di “monocameralismo di fatto” o, più precisamente, di “monocameralismo alternato”. Povero Parlamento. Il drastico taglio dei suoi membri si è rivelato un’occasione sprecata e ora ci dobbiamo confrontare con un sostanziale dimezzamento delle sue funzioni. Una volta tocca a un ramo, una volta all’altro, con buona pace di quella storica corrente di pensiero secondo cui il bicameralismo era lo strumento idoneo a garantire una produzione legislativa più precisa e meditata. Forse sarebbe il caso di mettere finalmente mano a un monocameralismo virtuoso, riservando al Parlamento in seduta comune almeno alcuni passaggi decisivi della vita repubblicana, come già avviene per alcune nomine di organismi di garanzia. Sarebbe anche un modo per valorizzare sul piano pratico il ridotto numero di parlamentari. E probabilmente sarebbe una riforma molto meno divisiva di altre.
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