Le Regioni al voto, il “terzo mandato” e la Consulta
Il 23 e 24 novembre Campania, Puglia e Veneto rinnovano i consigli regionali e cambiano i governatori, tutti e tre giunti a due legislature. Sarebbero quasi certamente rieletti: ecco perché la Consulta gli impedisce di ricandidarsi come presidenti

Siamo ormai alle porte dell’ultima e più corposa tornata delle elezioni regionali d’autunno, e in questo frangente è arrivata l’attesa sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale della Provincia autonoma di Trento. Attesa e, dati i precedenti, dall’esito scontato: il comunicato della Consulta afferma in modo lapidario che «il principio del divieto del terzo mandato consecutivo vale anche per il presidente della Provincia autonoma di Trento e per tutti i presidenti delle Regioni autonome eletti a suffragio universale e diretto». Per saperne di più occorrerà attendere il deposito della sentenza, ma intanto il comunicato anticipa che il divieto del terzo mandato costituisce «un principio generale dell’ordinamento giuridico della Repubblica» e come tale è «vincolante» anche per «la potestà legislativa primaria delle autonomie speciali». Dopo la sentenza che nello scorso settembre aveva respinto la legge campana che prevedeva il terzo mandato per una Regione a statuto ordinario, il cerchio si chiude.
Che cosa significhi in concreto il divieto del terzo mandato lo si ricava con evidenza dall’imminente tornata elettorale: nelle tre Regioni al voto il 23 e 24 novembre – Veneto, Campania e Puglia – ci sarà un cambio al vertice, quale che sia il responso delle urne, in quanto i presidenti uscenti non si sono potuti ricandidare. E si tratta di tre personaggi di assoluta rilevanza politica e mediatica: Luca Zaia, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano. Tre leader che avrebbero quasi certamente vinto un’ulteriore competizione. È giusto stabilire che gli elettori non possano votarli ancora una volta? «Dobbiamo far scegliere ai cittadini o la norma deve limitare la scelta dei cittadini?», continua a ripetere Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia, un altro leader che ha grande popolarità nel suo territorio e che alle prossime elezioni regionali dovrebbe fare un passo indietro.
La questione avanzata da Fedriga è da sempre l’argomento principe di tutti coloro che sostengono l’opportunità di consentire il terzo mandato. Non è una questione che possa essere elusa con superficialità perché pone un problema di democrazia. Ed è a questo livello che si colloca la Corte costituzionale nella nota sentenza sui sindaci della Sardegna, la n.60 del 2023, quando afferma che «la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi – in stretta connessione diretta con l’organo di vertice dell’ente locale, a cui fa da ponderato contraltare – riflette una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati nelle elezioni successive, la libertà di voto dei cittadini e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali».
Quanto alla possibilità di riaprire il discorso modificando la legge 165 del 2004, la legge ordinamentale che fissa i “principi fondamentali” a cui le Regioni devono attenersi in materia elettorale, forse in linea teorica il margine ci sarebbe. Ma fermo restando il vaglio della Consulta – che sul tema ha messo in campo criteri molto stringenti – il nodo politico appare oggi insuperabile poiché i maggiori partiti di entrambi gli schieramenti sono contrari al terzo mandato.
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