L'anomalia dei sindaci nelle Città metropolitane

La legge con cui la maggioranza vuole modificare il sistema elettorale nei centri più grandi può rappresentare un problema per il resto del territorio
October 19, 2025
L'anomalia dei sindaci nelle Città metropolitane
Lo skyline di Milano dal Duomo/ Ansa
Nella rubrica di due settimane fa c’eravamo soffermati sul disegno di legge con cui la maggioranza vorrebbe modificare il sistema di elezione dei sindaci nei centri più grandi, rendendo residuale il ballottaggio (basterebbe il 40% per essere eletti al primo turno) ed eliminando il voto disgiunto. Ci ha scritto Roberta Calvano, ordinario di diritto costituzionale presso l’Unitelma Sapienza di Roma, segnalandoci una questione ulteriore che lei stessa aveva prospettato nel corso dell’audizione parlamentare sul suddetto ddl e che riguarda l’elezione dei sindaci metropolitani, vale a dire i vertici delle Città metropolitane. Il punto è questo: in base alle norme in vigore, che sarebbe possibile correggere con un’apposita legge, il sindaco di una Città metropolitana è di diritto quello del Comune capoluogo, ma questa regola esclude dalla sua designazione tutti coloro che non risiedono in tale Comune pur essendo abitanti della Città metropolitana. Com’è facile intuire, trattandosi di grandi città come Roma, Milano, Napoli ecc., il numero di elettori interessati è molto rilevante. Molto rilevanti sono anche i valori in gioco, come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza 240 del 2021 in cui si citano anche altre due sentenze: «Questa Corte non può esimersi dall’osservare come il sistema attualmente previsto per la designazione del sindaco metropolitano non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale, con riguardo tanto al contenuto essenziale dell’eguaglianza del voto, che “riflette l’eguale dignità di tutti i cittadini e […] concorre inoltre a connotare come compiutamente corrispondente alla sovranità popolare l’investitura di chi è direttamente chiamato dal corpo elettorale a rivestire cariche pubbliche rappresentative” (sentenza n. 429 del 1995), quanto all’assenza di strumenti idonei a garantire “meccanismi di responsabilità politica e [i]l relativo potere di controllo degli elettori locali” (sentenza n. 168 del 2021)».
L’esclusione di un vulnus – così lo definisce la Consulta – poteva essere argomentata nella fase iniziale della riforma, ma ora (la sentenza, va ricordato, è del 2021) «non appare più invocabile, a sostegno della non contrarietà a Costituzione del meccanismo di designazione di diritto del sindaco metropolitano, il fatto che gli statuti delle Città metropolitane possano optare per la via dell’elezione diretta di quest’ultimo». «Anche a non voler considerare il complesso iter procedurale cui dovrebbe sottoporsi il Comune capoluogo – sottolinea la Corte – a rendere nella sostanza impraticabile tale eventualità, e quindi più gravosa la giustificabilità della mancata elettività del sindaco metropolitano, è la circostanza che, ad oggi, la legge statale contenente il relativo sistema elettorale non è intervenuta, né risultano incardinati, presso le Camere, disegni o proposte di legge in uno stadio avanzato di trattazione». Per questo la Consulta si trova a «sollecitare un intervento legislativo in grado di scongiurare che il funzionamento dell’ente metropolitano si svolga ancora a lungo in una condizione di non conformità ai richiamati canoni costituzionali di esercizio dell’attività politico-amministrativa». Sono trascorsi quattro anni e siamo ancora lì. Con l’aggravante che, se passasse la norma anti-ballottaggio, potremmo avere sindaci metropolitani eletti nel loro Comune con il 40%.

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