Authority indipendenti con nomine sbilanciate? Impensabile
Il sistema attuale espone gli organismi di controllo a condizionamenti politici strutturali; servono quorum alti e consensi trasversali

Il tema delle autorità amministrative indipendenti – spesso definite con il termine authority, un anglicismo meno arbitrario di altri vista l’origine storicamente statunitense dell’istituto – si è riaffacciato con forza nel dibattito pubblico per il caso che ha coinvolto il programma televisivo Report e il Garante della privacy. Nel nostro ordinamento tali autorità si sono sviluppate soprattutto a partire dagli anni Novanta. Il sito del Senato ne censisce 12, ma il computo è controverso perché anche nella dottrina giuridica non c’è piena convergenza sulla natura e quindi sull’identità di questi organismi. La Treccani indicativamente fa riferimento a «quei soggetti o enti pubblici, istituiti con legge, che esercitano in prevalenza funzioni amministrative in ambiti considerati sensibili o di alto contenuto tecnico, tali da esigere una peculiare posizione di autonomia di indipendenza nei confronti del governo, allo scopo di garantire una maggiore imparzialità rispetto agli interessi coinvolti».
Già dalla pur approssimativa definizione è agevole comprendere come il nodo della questione sia il rapporto con la politica. Si fa presto a dire indipendenti. Per la verità, nella stagione del populismo c’è anche una significativa corrente d’opinione che contesta il concetto stesso di indipendenza perché senza consenso elettorale esplicito e diretto non ci può essere autorità. Ma chi scrive è un nostalgico della separazione dei poteri e un tenace sostenitore dell’articolo 1 della nostra Carta fondamentale, laddove si afferma solennemente che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle «forme» e nei «limiti” della Costituzione». Dunque l’esistenza di organi di garanzia – sommamente quelli di livello costituzionale – è uno degli elementi-chiave che distinguono le democrazie dalle autocrazie elettorali.
Ciò premesso, al di là dei preminenti profili di cultura politica e giuridica, lo snodo cruciale su cui si gioca l’indipendenza delle Aai è quello dei sistemi di nomina dei rispettivi membri. Un ambito in cui bisognerebbe mettere ordine, magari valutando – lo ha suggerito il giurista Stefano Ceccanti – se non sia il caso di “costituzionalizzare” le regole, finora affidate soltanto alla legge ordinaria, con una sensazione di provvisorietà e il rischio di prevaricazioni delle maggioranze pro-tempore. Si potrebbero nell’occasione correggere quei criteri che risultano inadeguati rispetto agli obiettivi da perseguire o superati dalla prassi politico-istituzionale
Un esempio del primo caso è il “voto limitato” adottato proprio per il già citato Garante per la privacy. Secondo questo metodo ogni elettore dispone di un numero di suffragi inferiore di almeno una unità rispetto a quello dei seggi in palio e questo, giustamente, tutela la rappresentanza delle minoranze. Ma alla fine l’esito concreto è che ognuno si vota i “suoi”. Un esempio del secondo caso è la scelta dell’AgCom o del Garante dell’infanzia, affidata ai presidenti delle Camere che un tempo erano espressione della maggioranza (Senato) e della minoranza (Camera). Ormai da molto tempo, però, è la stessa maggioranza che esprime entrambe le cariche. Per organismi chiamati a essere autorevoli e indipendenti, almeno tendenzialmente, forse bisognerebbe pensare a qualcosa di analogo a quanto previsto per i giudici costituzionali, con quorum tali da richiedere consensi ampi e trasversali.
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