Come può cambiare il sistema di voto nei Comuni
Al Senato è ripreso il cammino del disegno di legge che modifica profondamente le regole per le elezioni locali. Ecco i punti critici
Mentre tutta l’attenzione è concentrata sulle elezioni regionali, al Senato è ripreso il cammino del disegno di legge che modifica profondamente il sistema di voto nei Comuni. E torniamo quindi a occuparcene anche in questo piccolo spazio di riflessione. Il sistema in vigore risale a 1993 e con l’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci ha avviato una stagione completamente nuova della vita della Repubblica. È un sistema ampiamente collaudato ed entrato ormai pacificamente nel costume elettorale dei cittadini. Perché allora i partiti della maggioranza vogliono mettervi mano? Nel mirino c’è essenzialmente il meccanismo del ballottaggio. Oggi, se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta, i due più votati si confrontano davanti agli elettori in un secondo turno di votazione. Il meccanismo è ben noto anche in altri Paesi democratici e ha soprattutto il pregio di assicurare che il titolare di una carica monocratica, con il relativo corredo di poteri, non sia espressione di una minoranza, per quanto ampia possa essere. Sta di fatto, però, che i partiti della maggioranza di governo siano fermamente convinti che il ballottaggio favorisca lo schieramento avversario. È quanto meno discutibile che questo possa essere un motivo valido per cambiare una legge elettorale che in oltre trent’anni ha dato buona prova di sé. Intendiamoci, c’è del vero nella tesi secondo cui le opposizioni faticano ad accordarsi in prima battuta mentre al secondo turno riescono a farlo più agevolmente. Ma se nei centri di maggiori dimensioni (le regole in questione riguardano i Comuni con oltre 15 mila abitanti) e soprattutto nelle grandi città il centro-sinistra variamente declinato ha spesso ottenuto risultati migliori, non è colpa o merito del ballottaggio. Dipende piuttosto da una dinamica cultural-demografica diffusa in tutti i Paesi occidentali, oltre che da una migliore capacità di selezione dei candidati (almeno finora).
Siccome nel 2027 andranno al rinnovo i sindaci delle città più grandi, da Roma a Milano, da Napoli a Torino e via dicendo, ecco che l’abolizione del ballottaggio è diventata per il centro-destra un obiettivo strategico da perseguire tempestivamente. A rigore, con la legge ora in discussione nella commissione affari costituzionali di Palazzo Madama il ballottaggio non verrebbe abolito in quanto tale. Ma fissare al 40% la soglia per essere eletti al primo turno provocherebbe lo stesso risultato pratico, per come è configurato il nostro sistema politico. Senza dimenticare che potrebbe facilmente verificarsi il caso di due coalizioni sopra la soglia, come è prevedibile che avvenga se non si richiede la maggioranza assoluta. Nel mese di agosto, poi, si è aggiunto un altro elemento di controversia. È stato infatti approvato un emendamento della maggioranza in cui si afferma che “in caso di voto espresso per un candidato sindaco e per una lista ad esso non collegata, il voto è nullo”. Si eliminerebbe quindi quello che in gergo si suole definire “voto disgiunto”. Anche in questo caso il timore non confessato è che il meccanismo avvantaggi il centro-sinistra presupponendo che sia capace di esprimere candidati sindaci più attrattivi. Il che è tutto da dimostrare, vista la piega che hanno preso i comportamenti elettorali. E comunque perché ridurre le opzioni disponibili per il cittadino?
© RIPRODUZIONE RISERVATA






