Autonomia differenziata? Sì, ma nel rispetto della Consulta

Sulla materia è intervenuta nel 2024 la Corte costituzionale con una sentenza che ha riportato nei binari della Carta l’interpretazione della riforma. Ora quattro pre-intese impongono una riflessione
December 28, 2025
L’autonomia differenziata ogni tanto si riaffaccia nel dibattito pubblico per poi rinabissarsi come un fiume carsico. Tanto per rinfrescare la memoria, stiamo parlando di quelle “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” che in base all’art.116 della Costituzione riformato nel 2001 (da una maggioranza di centro-sinistra con conferma referendaria) possono essere attribuite alle Regioni su loro richiesta. Sulla materia è intervenuta nel 2024 la Corte costituzionale con una sentenza molto incisiva, la n.192, che ha riportato nei binari della Carta l’interpretazione della riforma, con una perentoria messa a punto rispetto alla piega presa soprattutto per mano del ministro leghista Calderoli e di alcuni “governatori” delle Regioni del Nord. Calderoli, che è titolare degli Affari regionali e delle autonomie, e a cui certamente non difetta la tenacia, è subito ripartito mostrando di ritenere tutto sommato marginale l’intervento della Consulta. La sua ultima mossa è stata la firma di quattro accordi preliminari (le cosiddette pre-intese) con i presidenti delle Regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, non senza essersi prima assicurato di ricevere un’investitura in tal senso da parte della premier. Le pre-intese non hanno un precedente fortunato. Nel 2018 fu il governo Gentiloni a sottoscriverle con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e sappiamo com’è andata a finire. Comunque sia, gli accordi targati Calderoli sono stati sottoscritti il 18 e il 19 novembre con l’intento di concludere i negoziati entro il prossimo 31 dicembre «al fine della predisposizione dello schema di intesa preliminare da sottoporre alla deliberazione del Consiglio dei ministri». Le intese, sintetizza il sito del ministero, riguardano «funzioni concernenti le materie “protezione civile”, “professioni”, “previdenza complementare e integrativa” e “tutela della salute-coordinamento della finanza pubblica”». La scelta delle materie e la sottolineatura delle “funzioni” non sono ovviamente casuali. Le prime, infatti, sono state individuate tra quelle definite no-Lep (in quanto non richiederebbero la preventiva determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni), ma per la Consulta occorre comunque verificare nel merito che non si vada a incidere su un diritto civile o sociale (vedi anche la sentenza n.10 di quest’anno). Quanto alle funzioni, la stessa Consulta ha precisato che alle Regioni non possono essere attribuite intere materie, ma – appunto – funzioni. Di qui la sottolineatura terminologica che secondo i critici è puramente nominalistica. Quel che però colpisce di più leggendo i testi pubblicati sul sito del ministero è che le pre-intese sono identiche tra loro. Autonomia indifferenziata, verrebbe da dire con una battuta. La Corte costituzionale ha invece affermato che ogni richiesta deve essere «giustificata e motivata con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico e altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità – della soluzione prescelta». Ci dev’essere un motivo preciso, forte e documentato perché una Regione chieda eccezioni tanto rilevanti alle norme generali, lo dice il buon senso prima ancora del diritto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA