Farei torto al signor Kenobi se lo definissi un uomo timoroso. Era di sicuro un uomo prudente, di una prudenza che a volte era difficile comprendere. Nei locali pubblici sedeva sempre in modo da avere la visuale più ampia possibile e teneva d’occhio l’ingresso, come se dalla strada potesse raggiungerlo una minaccia o, più modestamente, un fastidio. Da parte mia, fantasticavo di incontri fortuiti con donne del passato. O magari anche del presente. Con il signor Kenobi non si poteva mai sapere, davvero. Non l’ho mai visto spaventato, neppure quando avrebbe potuto averne motivo. Ricordo un pomeriggio con lui in un caffè davanti all’Università Statale di Milano. Era giorno di lauree, i festeggiamenti erano molto rumorosi, in aria volavano coriandoli colorati e canzonacce goliardiche.
Con slancio esagerato, qualcuno faceva esplodere piccoli razzi dai quali usciva un fumo denso e fastidioso. Vicino a noi, una famiglia di turisti americani si alzò frettolosamente dal tavolo al quale si era appena seduta. «Mi dispiace – dissi –. Se vuole, possiamo andarcene anche noi». Il signor Kenobi rivolse lo sguardo al fumo che già si stava dissolvendo e sorrise. «Finché sono giocattoli, non c’è da preoccuparsi», disse. Rimase in silenzio e poi, come parlando da solo, ripeté: «Finché sono giocattoli».
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