Era un libro, era il libro che mi aspettavo. L’ispettore si era rallegrato del fatto che avessi protetto la busta con un’altra busta, aveva indossato i guanti in lattice e usato il tagliacarte con la dovuta precisione. Avvolta in un foglio di carta di riso celeste, era apparsa la copia di Rapporto dalla città assediata che il signor Kenobi e io ci eravamo contesi tempo prima. «È un vecchio libro», commentai. «Lo vedo», replicò il poliziotto. «Ma questo Herbert chi è?», domandò. Aveva evitato di pronunciare l’insidioso nome proprio, Zbigniew. «Un poeta polacco – risposi –, morto da diversi anni. Avrebbe meritato il Nobel». Riassunsi per l’ispettore la storia che conoscete. A confermarla provvedeva lo scontrino che il signor Kenobi, non diversamente da me, aveva conservato nel volume.
La striscia di carta spuntava dalle pagine, come un segnalibro. L’ispettore aprì in quel punto e si trovò davanti a Damaste soprannominato Procuste parla, magnifica parodia di ogni pratica inquisitoria. «Nutro la non vana speranza che altri si assumeranno la mia fatica / e condurranno a termine l’opera con tanta audacia intrapresa», dichiara in chiusura il torturatore che si immagina filantropo. «Non capisco», disse l’ispettore continuando a sfogliare. «Aspetti – esclamò – qui c’è un altro foglietto».
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