Il paziente-medico che ha scoperto la cura per la sua malattia
Affetto da una patologia rarissima, David Fajgenbaum, americano, ha trasformato la sua sofferenza nella leva per scoprire la terapia che può trattarla, avviando linee di ricerca per molte altre malattie. Un metodo raccontato in un best seller, che diventerà un film

Vorrei raccontare una storia che incrocia l’IA ma che si distingue per la profondità dell’umanità coinvolta. David Fajgenbaum è un medico statunitense che ho avuto il piacere di incontrare e conoscere in Arizona la scorsa settimana. David incarna al massimo livello cosa significa trasformare una tragedia personale in un motore di cambiamento globale.
Nato nel 1985 a Raleigh, Carolina del Nord, era un promettente atleta universitario – giocava nella squadra di football – e studente di Medicina a Georgetown quando la vita lo costrinse a fermarsi: la perdita precoce della madre per un tumore lo spinge ad attivarsi nel supporto al lutto tra studenti, ma sarà una diagnosi devastante a cambiare per sempre la traiettoria della sua esistenza. Ancora ventenne, al terzo anno della Medical School, Fajgenbaum viene colpito da una rarissima e aggressiva patologia chiamata Idiopathic multicentric Castleman disease, malattia così poco conosciuta che i medici non avevano una cura da proporgli. Più volte sul punto di morire, decide di usare le sue competenze e la propria disperazione come leva: si trasforma in “paziente medico”, avviando personalmente linee di ricerca, fondando la Castleman Disease Collaborative Network, e trovando un trattamento con la riproposizione di un farmaco già esistente che gli ha consentito di sopravvivere e di mantenere la malattia in remissione da oltre dieci anni.
Questa straordinaria esperienza viene raccontata nel libro Chasing My Cure, un bestseller negli Stati Uniti, base per un film in produzione a Hollywood. Ma l’impatto di Fajgenbaum va ben oltre la sua vicenda personale. Come professore associato di Medicina traslazionale e Genetica all’Università della Pennsylvania, Fajgenbaum ha saputo catalizzare attorno a sé programmi di ricerca e reti collaborative internazionali, cambiando radicalmente la prognosi non solo per il Castleman ma anche per molte malattie rare e tumori, grazie all’individuazione di altre quattordici terapie riposizionate con successo.
Oggi è co-fondatore e presidente di Every Cure, una non-profit pionieristica che sfrutta l’Intelligenza artificiale per identificare nuove applicazioni di farmaci già approvati, accelerando la scoperta di cure “nascoste in bella vista”. Questo approccio, denominato “computational pharmacophenomics”, rappresenta una delle più avanzate frontiere nell’innovazione biofarmaceutica e nella lotta contro le malattie orfane. Premiato da prestigiose istituzioni e recentemente nominato tra le 100 persone più influenti nella salute a livello mondiale dalla rivista Time, Fajgenbaum continua a testimoniare che scienza, speranza e azione, se unite, possono cambiare il destino di milioni di pazienti, dimostrando quanto la vulnerabilità umana possa essere sorgente di resilienza collettiva.
Quando parliamo di algoretica da queste colonne non guardiamo mai agli algoritmi ma in primis ci riferiamo all’umanità che vuole mostrarsi in tutta la sua capacità attraverso anche le grandi capacità che oggi ci regala la macchina. Ci sembra che la storia di David – che non nasconde la sua fede e porta sempre con sé nel portafoglio una frase di Giovanni Paolo II – sia uno stimolo che ci ricorda che umanizzare l’IA non solo si può ma si deve.
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