Più equa e precisa: con l’IA la medicina si avvicina ai pazienti
Siamo abituati a immaginare i nostri medici come figure infallibili, instancabili e sempre corrette, quasi dei semi-dei. La realtà, tuttavia, è ben diversa: i professionisti sanitari sono esseri umani, spesso sovraccarichi di lavoro, sotto immense pressioni e con risorse limitate. Nonostante anni di formazione, i nostri cervelli non sono sempre equipaggiati al meglio per la velocità, la pressione e la complessità dell’assistenza sanitaria moderna. Questo contesto rende cruciale porci una domanda fondamentale: chi, o cosa, è nella posizione migliore per offrire un’assistenza al paziente efficace, che è lo scopo ultimo della medicina? Proviamo a farci provocare dalle riflessioni di Charlotte Blease autrice di Dr Bot: Why Doctors Can Fail Us – and How AI Could Save Lives, pubblicato da Yale recentemente. Per l’autrice l’Intelligenza artificiale (IA), sebbene susciti ancora sospetti, sta dimostrando in modo crescente come possa affrontare alcuni dei problemi più radicati e dei fallimenti spesso trascurati nel settore sanitario. Uno degli aspetti più allarmanti della medicina attuale è la frequenza degli errori diagnostici. Stando ai dati della Blease la qualità delle cure diminuisce anche con l’avanzare della giornata lavorativa, con un aumento delle prescrizioni inappropriate e una diminuzione degli screening preventivi. Questi fallimenti sono comprensibili: la distrazione, il multitasking, la stanchezza, il burnout e l’invecchiamento cognitivo non solo logorano i medici, ma aumentano il rischio di errori clinici. La conoscenza medica progredisce a una velocità tale che la metà di ciò che si impara durante la formazione è già obsoleta al momento della laurea, e con un nuovo articolo biomedico pubblicato ogni 39 secondi – sostiene l’autrice – è umanamente impossibile rimanere aggiornati. A questo punto, per la Blaise, l’IA emerge come una soluzione potente e coerente. A differenza degli esseri umani, l’IA elabora dati medici a velocità incredibile, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza interruzioni: la vera forza dell’IA risiede nella sua capacità di individuare schemi che sfuggono all’occhio umano, rendendola eccezionale nel riconoscere malattie rare, spesso con maggiore precisione rispetto ai medici. Un altro problema critico è l’accesso alle cure. Il sistema sanitario è sovente diseguale: i più bisognosi – i malati, i poveri, gli emarginati – sono quelli che più spesso vengono trascurati. Siamo abituati ad accettare l’attesa nell’ufficio del medico, ma l’IA, seguendo il volume, potrebbe rivoluzionare questa consuetudine. Certo, anche la Blaise riconosce che ci sono sfide da affrontare. L’efficacia di questi strumenti dipenderà dall’accesso a internet e dalle competenze digitali. Dove il ragionamento si fa interessante è quando l’autrice si sofferma sul fatto che la ricerca attuale sull’IA in sanità si concentra quasi esclusivamente sui suoi difetti: è fondamentale esaminare il potenziale di bias ed errori, ma questa prospettiva non considera pienamente i sistemi sanitari «scricchiolanti e talvolta insicuri» sui quali già facciamo affidamento. Una valutazione equa dell’IA deve necessariamente confrontarla con le innegabili carenze del sistema attuale, un sistema che troppo spesso si rivela frustrante, inaccessibile o semplicemente sbagliato. Dal nostro punto di vista, l’algoretica ci ricorda che accogliere l’IA in medicina non significa sostituire l’umanità dei medici, ma piuttosto integrare e potenziare le loro capacità, colmando le lacune inevitabili della condizione umana. È tempo di superare la diffidenza e riconoscere il valore dell’IA come uno strumento essenziale per un’assistenza sanitaria più precisa, efficiente ed equa per tutti. © riproduzione riservata
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